Quando lui creava riviste (e che riviste!) e con molteplici iniziative favoriva la crescita culturale della destra italiana, io ero appena nato. E quando, tanti anni dopo, lo conobbi rimasi colpito dal suo frenetico attivismo intellettuale e dalla sua inarrestabile curiosità politica.
Gli Anni ’50 del mondo missino per una grande parte sono stati segnati da Primo Siena.
Un primo segnale. Dette vita all’Associazione amici di Robert Brasillach e di Carlo Borsani, poeti morti ammazzati, il primo, dall’antifascismo gollista e, il secondo, da quello comunista, entrambi fucilati in quell’apocalittico 1945, il primo nel forte di Montrouge ad Arcueil e il secondo a piazzale Susa a Milano. Siena costituì questa Associazione insieme con quell’incredibile personaggio che fu il poeta francese, ma italianissimo, Pierre Pascal, forse il più grande passeur dell’Oriente nella moderna Latinità.
Fu un segnale chiaro e forte.
Ad appena cinque anni dalla fine della guerra, tempo di perseguitati e di clandestini, di esiliati e di incarcerati, comunque di reietti, Siena attivò un circuito, minuscolo ma significativo, tra le culture nazionali di due Paesi latini, cristiani, nei quali nacque il Fascismo come pensiero e come azione, spaccati in due dalla guerra e dalla Resistenza, entrambi teatro di rappresaglie bestiali e immotivate; e lo fece con un uomo di profondissima cultura romana e classica, “poeta e scrittore in esilio”, come dice la sua tomba nel cimitero del Verano a Roma, un uomo che aveva conosciuto Mussolini e Padre Pio e frequentato Maurras, Evola, de Montherlant, Boutang, ma anche grande iranista e orientalista.
Segnale forte e chiaro di pietà quando gli animi erano ancora insanguinati ma anche segnale forte e chiaro di fierezza e di identità quando tutto era a terra e a pezzi. Ma anche segnale forte e chiaro di grande cultura.
Era il 1950. L’anno che vide la nascita del Borghese (Longanesi), di Imperium (Erra) e di Europa-Nazione (Anfuso) registrò anche la nascita di Cantiere che Siena creò con quattro soldi ma che ebbe un grande successo di vendita nella destra italiana, soprattutto quella giovanile, assetata di ragionamenti, di riflessioni, di analisi e di idee. Un anno che vide sorgere anche altre due testate dal profondo significato simbolico, Azione sindacale (Landi) e L’Ultima Crociata (Parrini), la prima per penetrare nel mondo del lavoro e la seconda per non far inghiottire dall’ubriacatura antifascista il ricordo dei Martiri fascisti della guerra e del dopoguerra.
Un anno, un solo anno, e almeno quattro testate che hanno fatto scuola. Di lì a poche settimane fu la volta di altre due riviste di grande peso culturale e politico, Nazionalismo sociale (Cione e Palamenghi-Crispi) e Studi gentiliani (Vettori).
Il crocevia nel quale Primo Siena emerge con tutta la sua vivacità di pensiero e la sua capacità di mobilitazione è insomma questo: il mondo degli sconfitti che si ritrova e si riconosce, che costruisce la sua nuova identità, che delinea il proprio perimetro di azione politica e culturale, che non rinnega il passato ma guarda al futuro, aprendosi ad esso; una comunità che non vuole restaurare ciò che è consegnato alla Storia.
Il tutto mentre si lotta per non farsi annientare dalle leggi liberticide e dalla violenza partigiana.
Siena mise a quel tempo mattoni essenziali alla costruzione dell’edificio che sarebbe durato mezzo secolo.
Lo fece con la Carta della Gioventù, promossa nel 1951 da Cantiere con la supervisione di Evola, e che dette al mondo giovanile della destra un punto di riferimento destinato a durare negli anni. E lo fece nel 1954 con la nascita del mensile Carattere, fondato insieme con Gaetano Rasi, rivista che battè il record di durata per le riviste missine di quel tempo, nove anni.
Da quegli Anni ’50, fecondi e gloriosi, Siena continuò a seminare, a studiare, a leggere, ad approfondire, a scrivere, a partecipare a Convegni per dare il suo indimenticabile contributo: fra i tanti uno, quello del 1973 al I Congresso internazionale per la difesa della cultura organizzato a Torino dal Cidas (Centro italiano documentazione azione studi) fondato da Sergio Ricossa. Un Convegno che intendeva indicare la via nazional-liberale del moderatismo conservatore a una destra che invece non intendeva sradicarsi dalle proprie radici sociali e nazionali. E Siena col garbo e la dottrina che gli appartenevano fu tra coloro che indicarono con coraggio la via non già dell’abdicazione alle proprie idee ma quella del loro ulteriore sviluppo e della loro nuova affermazione.
Insomma un motore inesauribile.
La nostra amicizia fu favorita dalla rispettiva amicizia con Rasi. La loro risaliva addirittura agli anni fondativi del Movimento sociale, ai campi scuola organizzati da Massi in Trentino-Alto Adige, ed era favorita dalla comune origine veneta, ma soprattutto da quel comune sentire che aveva le proprie radici nel Cristianesimo non solo come religione ma anche come Dottrina sociale che fu la bandiera esibita da Carattere sin dalla copertina.
Una delle ultime volte nelle quali lo vidi fu a piazza del Popolo a Roma, da “Rosati”. C’era anche Fausto Belfiori, un altro grande intellettuale che segnò profondamente il mondo giovanile missino di quegli Anni ’50, che aveva fondato il bimestrale Adveniat Regnum, diretto con la moglie Anna, una donna straordinaria. Belfiori (lo dico per ricordare agli immemori la qualità culturale e professionale di certi dirigenti missini) era stato per anni direttore dell’agenzia Italia (Agi), la seconda dopo l’Ansa.
Fu una rimpatriata al sole dorato di una Roma che stava entrando nell’estate. Rimanemmo ore a parlare, ricordando. Loro più di me, per ovvii motivi anagrafici. Ricordammo persone e personaggi, i giornali e le riviste, i comizi, i parroci, i poliziotti, i commercianti generosi per due lire che ci davano per stampare qualche volantino, i leaders di allora con i quali c’erano sempre conti in sospeso ma comunque tanto affetto e tanta ammirazione. Ricordammo quel mondo. E un paio di volte a Primo si strozzò in gola la voce e Fausto cercò di farlo sorridere con battute che avrebbero voluto essere ironiche ma non ci riuscirono, anzi.
Che anno era?
Non lo rividi più.
Lo risentii tante volte. Due volte a settimana verso le 11 di sera il telefono squillava. Era lui da Santiago. Ed era come se stesse lì, a casa mia. “Non è che ti scoccio?”. Domande su tutto e tutti: i fatti della politica italiana, gli amici di un tempo (che lui continuava a chiamare camerati), la Metapolitica, che aveva in lui l’erede di Silvano Panunzio, il Papa, la derecha social y nacional de Chile dopo l’éra Pinochet, gli articoli e i libri di Alberto Buela, suo grande amico, l’eredità corporativa nella cultura politica hispanoamericana, soprattutto in Argentina, e ovviamente la destra di casa nostra, quella dove aveva lasciato gli anni e il cuore.
Insomma tutto.
Poi, di colpo, le sue telefonate non arrivarono più. E alle mie non ci fu più risposta.
Suggestiva rievocazione di grandi uomini del passato purtroppo sconosciuti ai più!
Sono riuscito a parlargli sino a tre giorni prima della sua scomparsa, qui in Cile.
È stato davvero un esempio ed una fonte per molte generazioni successive.
Onore a te, Primo!