Quando si professa il patriottismo si intende dichiarare l’amore per la propria Patria. Alcune correnti del progressismo moderno tendono a dare un’accezione negativa a questo sentimento perché negherebbe la concezione globalista e internazionalista che vorrebbe ogni uomo “cittadino del mondo”, uguale a un altro qualsiasi di qualsiasi altra parte della Terra. Essere patriota, quindi, darebbe un’identità e una collocazione ben precisa di un uomo individuando la sua cultura, la sua provenienza geografica, i suoi sentimenti, la sua lingua, i suoi valori. Essere patriota, quindi, significa anche testimoniare questo sentimento. Le guerre sono vere e proprie cartine di tornasole per verificare nella realtà, e nello spazio di una vita, questo sentire. Ed episodi di eroismo non mancano. Certo, come sostenne il pensatore Julius Evola, la guerra è una selezione al contrario, dove a morire per primo sono spesso i migliori, i più coraggiosi, i più ardimentosi.
Un caso esemplare di patriottismo e dedizione è quello del maggiore Pasquale De Cataldo, ufficiale di carriera morto a 44 anni in una battaglia già segnata, per uscire vivo dalla quale ci sarebbe voluto un miracolo. Per non dimenticare avvenimenti che rientrano nella microstoria ma che a pieno titolo fanno parte della storia, in occasione del centenario della traslazione del Milite Ignoto da Aquileia a Roma, la Società di storia patria per la Puglia, organismo di rilievo per la memoria storica locale che fa parte di quella nazionale, ha pubblicato un libro su questo eroe pugliese della Prima guerra mondiale, originario di Putignano (provincia di Bari). La ricerca di materiale, avviata già alcuni anni fa, ha portato i curatori del libro, Pasquale Corsi, presidente della Società di storia patria e docente dell’Ateneo barese di Storia medievale, e i ricercatori Giovanni Paparella e Filippo Perna (parente di De Cataldo) a pubblicare Voci dalla grande guerra (Società di storia patria per la Puglia, pagg. 320, euro 30,00; ordini: storiapatriapuglia.it). E’ una ricerca che privilegia la storia e la memoria di Pasquale De Cataldo (1874-1916) morto il 16 giugno 1918 alla testa del suo battaglione a Capo d’Argine, nei pressi di Losson, durante un’operazione di guerra molto pericolosa.
La ricerca di materiale, l’inquadramento storico, la trascrizione della documentazione hanno fatto sì che una vicenda importante venisse tolta dall’oblio. Il libro consta della ricostruzione, sulla base della documentazione ritrovata, della vita di questo ufficiale importante non solo per il ruolo che svolse ma anche per l’esempio che dette. Poi un’analisi illustra i valori e la psicologia di De Cataldo e dei combattenti al fronte, in prima linea, segue la parte storicamente più importante: la trascrizione del diario del maggiore De Cataldo il quale era comandante del II Battaglione del 151mo Reggimento della Brigata Sassari. La seconda parte del libro consta di ricerche basate su documentazione inedita reperita da privati e da archivi con un ampio saggio di Corsi e la ricostrruzione di come fu vissuta la Grande Guerra in Capitanata. Una terza parte dove viene analizzata, in ottanta pagine, una vasta bibliografia di opere sulla Prima guerra mondiale.
De Cataldo a 17 anni, nel 1891 entrò nell’esercito e fece carriera fino a divenire maggiore. Partecipò alla prima guerra mondiale e il 21 luglio del 1915 nell’attacco di quota Seltz fu ferito gravemente al braccio destro e lievemente alla gamba sinistra. Tornò a combattere nel Trentino dalla fine di marzo a maggio 1917 quale maggiore del 151° Reggimento, Brigata Sassari. Fu ricoverato per motivi di salute e dimesso, inviato in Sardegna dove tenne il comando del presidio di Oristano. Nel 1918 nonostante il braccio destro continuasse a dargli problemi chiese di essere inviato al fronte. Fu inviato nel giugno 1918 al fronte del basso Piave. Il 15 giugno gli austroungarici sferrarono l’ultima disperata offensiva, dando inizio alla battaglia del Solstizio. La Brigata Sassari era posizionata sul Piave alle Fornaci di Monastier di Treviso e avanzava verso Fossalta di Piave e Capo d’Argine. Nell’ansa di Gorgo i reggimenti italiani furono accerchiati e arretrarono verso il caposaldo di Losson (oggi Losson della Battaglia, frazione di Meolo, in provincia di Venezia) per una difesa a oltranza.
Il 16 giugno gli alti comandi ritennero opportuno sferrare un assalto per conquistare una passerella per attraversare il Piave. Per farlo ritennero necessario dare l’incarico a un gruppo di ardimentosi comandati da un ardimentoso. Scelsero De Cataldo e il suo battaglione. Il maggiore De Cataldo fece presente al comando che l’operazione aveva poche possibilità di riuscita vista la posizione dell’artiglieria austroungarica e lo spazio ampiamente scoperto dal quale dovevano muoversi gli eroi della Brigata Sassari. Ma l’alto comando dette l’ordine di procedere comunque. De Cataldo fece un breve discorso ai suoi uomini, per motivarli il più possibile, e comandò l’assalto. Si lanciò davanti ai suoi militari e fu stroncato da due proiettili di mitragliatrice che lo raggiunsero in pieno petto. Morì sul colpo.
Comandò l’assalto sapendo bene che si trattava di un sacrificio, come molti commilitoni e pari grado riferirono alla famiglia che riebbe, nel 1924, la salma per traslarla nel cimitero di Noci (Bari).
Leggendo le lettere alla moglie, il diario, l’ottima ricostruzione della sua vita fatta dagli autori e curatori del libro, si ha una dimensione più viva e più vicina del succedersi dei fatti. Sembra di vivere la storia di quegli anni e la vicenda di un eroe che, pur vedendo la fine in una battaglia senza scampo, obbedisce agli ordini sapendo di andare incontro a morte certa.