Sconosciuta alle generazioni x, y, Erasmus, Millennials, Centennials, Zoomers etc. e poco studiata tranne qualche rara eccezione [1] per il suo ruolo formativo che ebbe nell’Italia del Secolo breve, la “Terza pagina” era, de facto, uno spazio che i quotidiani riservavano al mondo della cultura latamente inteso.
Nel XIX Secolo ‒ giova ricordarlo ‒ i giornali si componevano di “sole” quattro fitte pagine: la prima per l’articolo di fondo (poi identificato come “editoriale”) e la cronaca, la seconda per la politica, la terza occupata dal cosiddetto “romanzo d’appendice” e, infine, l’ultima che ospitava, alternandole, notizie meno importanti e inserzioni pubblicitarie.
Fu nel 1901 ‒ nello specifico l’11 dicembre ‒ che apparve, per la prima volta dopo alcune sperimentazioni che già andavano in quella direzione [2], la “Terza pagina”: l’intuizione fu di Alberto Bergamini [3] che, in occasione della rappresentazione della Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio al Teatro Costanzi di Roma, affidò a quattro diversi redattori il compito di scrivere un pezzo sull’evento mondano ‒ uno dei primi per l’epoca ‒ della Città Eterna.
Ai giornalisti de Il Giornale d’Italia ‒ fondato per iniziativa di Sidney Sonnino e Antonio Salandra, entrambi esponenti della “Destra liberale” allo scopo di dare spazio e voce alla loro corrente politica e diretto da Bergamini ‒ furono affidati diversi aspetti da trattare: della scenografia si occupò Diego Angeli (letterato e pubblicista), della critica musicale scrisse Nicola d’Atri (musicologo), la recensione complessiva della messa in scena fu affidata a Domenico Oliva (già critico letterario del Corriere della Sera di cui era stato anche direttore dal 1898 al 1900) e, infine, a Eugenio Checchi (giornalista, insegnante ed ex garibaldino) toccò il compito di soffermarsi sugli aspetti più mondani dell’evento.
A Il Giornale d’Italia va quindi riconosciuto non solo il merito di aver inaugurato tale prassi, ma anche di aver proseguito sull’alveo della stessa tracciando un solco che, in prospettiva, coinvolse firme sempre più qualificate e del calibro di Alessandro D’Ancona, Giuseppe Chiarini, Domenico Gnoli, Raffaele De Cesare, Antonio Fogazzaro, Luigi Capuana, Federico de Roberto, Luigi Pirandello, Cesare De Lollis, Attilio Momigliano, Salvatore Di Giacomo, Alfredo Panzini, Enrico Panzacchi, Pasquale Villari e Benedetto Croce.
Il Giornale d’Italia ha chiuso nel 1976: i nati in quegli anni sono oggi signore e signori quarantenni, in maggioranza le notizie le prendono da internet. E, fatto più allarmante, «siamo in pochi anche a avere chiaro il parallelo che corre fra l’Italia di oggi e quella del primo quarto del ’900 in cui visse e operò Bergamini. La sua fu una lunga vita, dal 1871 al 1962 fanno 91 anni» [4].
Negli anni Venti anche il Corriere della Sera seguì l’esempio de Il Giornale d’Italia: durante la direzione di Ugo Ojetti, infatti, apparvero nel gennaio 1927 anche sul Corriere ‒ per la prima volta in “Terza pagina” ‒ tutti e tre gli articoli principali, nella collocazione che poi divenne “canonica”: apertura, spalla e taglio centrale. Ogni “pezzo” era lungo almeno due colonne.
Di lì in poi, per le altre testate, fu una corsa alla “Terza pagina”: il Resto del Carlino di Mario Missiroli coinvolse firme quali Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Emilio Cecchi, Pietro Pancrazi, Corrado Alvaro, Umberto Saba e Marino Moretti; L’Ambrosiano baricentrò la sua “Terza pagina” sulla letteratura rendendo tale prassi un appuntamento settimanale (il mercoledì); la Gazzetta del Popolo diede un nome specifico alla sua sezione culturale inaugurando il Diorama letterario.
In quegli anni e nei successivi fu mantenuta, inoltre, la tradizione della pubblicazione “a puntate” dei romanzi d’appendice che finirono per riempire molte “Terze pagine” delle opere di Alfredo Panzini, Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Gabriele D’Annunzio, Grazia Deledda, Emilio Cecchi, Bruno Barilli, Giovanni Papini. Molto successo ebbero anche i resoconti di viaggio vergati dalla penna di Giovanni Comisso, Riccardo Bacchelli, Giovanni Battista Angioletti, Curzio Malaparte, Corrado Alvaro e Nino Savarese.
Ciò fece della “Terza pagina” qualcosa di diverso ‒ come ne attesta il carattere di stampa specifico che era usato per essa, l’olandese “elzeviro” ‒ all’interno dei quotidiani essendo «staccata dall’attualità, dalle problematiche degli accadimenti contingenti; era pervasa da una forma di sana evasività. In essa s’identificavano i lettori più informati e tradizionalisti: gli articoli venivano disposti secondo uno schema d’impaginazione classico, immediatamente riconoscibile» [5].
Dal punto di vista editoriale ciò creò le premesse per un altro interessante fenomeno, quello della pubblicazione in volumi delle raccolte degli articoli o dei racconti firmati e ospitati dalle “Terze pagine”: nel 1964, ad esempio, furono una ventina i libri frutto di quest’opera di selezione, aggiornamento e riordino di quanto anticipato da un autore sulla “carta stampata” [6]. In omaggio a tale tradizione, anche il volume che state sfogliando condivide tale genesi e ha seguito il medesimo esempio.
Nata all’abbrivio del Secolo breve, la storia della “Terza pagina” segue la parabola dello stesso: dopo lo sminuimento promosso convintamente da Eugenio Scalfari [7], sarà proprio nel 1989 che per la prima volta un quotidiano ‒ La Stampa di Torino ‒ cessò la sua predisposizione seguito poi, tre anni dopo, dal Corriere della Sera all’epoca diretto da Paolo Mieli.
Ne consegue, purtroppo, che «al tempo presente, infatti, le terze pagine e, in linea generale, le rubriche culturali dei periodici non hanno più le stesse caratteristiche delle loro antesignane dell’inizio del Novecento. Sulle pagine di oggi non si trovano, come succedeva allora, articoli di grandi firme, scrittori o filosofi, o romanzi a puntate, non hanno quindi quella pretesa alta di letteratura che Croce contestava. Oggi le sezioni “cultura” del Corriere della Sera o la Repubblica, L’Espresso o Panorama, riportano eventi culturali, mostre, spettacoli teatrali e non si spingono più in là di una recensione sull’ultimo film uscito nei cinema o sul best-seller appena pubblicato» [8].
Secondo alcuni la nobile tradizione della “Terza pagina” non è morta, ma si è solo evoluta trasferendosi in altre sezioni dei quotidiani ‒ che nel Terzo millennio non godono certo di buona salute considerando i dati ufficiali di vendita ‒ o in inserti specifici [9]. A noi, invece, sfogliando entrambi, pare proprio che si si senta eccome la mancanza di uno spazio culturale quotidiano dedicato al «bello scrivere» [10] e scevro dal carsico mercato delle recensioni mascherate ‒ nelle quali «c’è l’intellettuale Tizio che presenta il libro dell’intellettuale Caio. Dopo un lasso di tempo, diciamo un mese, avviene la reciprocità: Caio scrive la presentazione del libro di Tizio» [11] ‒ in articoli che vengono veicolate e spacciate, in molti casi, per articoli formativi.
Note:
[1] Cfr., G. Ferretti, S. Guerriero, Storia dell’informazione letteraria in Italia dalla Terza pagina a internet. 1925-2009, Milano, Feltrinelli, 2010, e AA.VV., C’era una volta la Terza pagina. Atti del Convegno. Napoli, 13-15 maggio 2013, a cura di D. De Liso e R. Giglio, Firenze, Franco Cesati Editore, 2015.
[2] P. Di Stefano, La Terza pagina tra bufale e stereotipi, in «Corriere della Sera», del 21 dicembre 2021.
[3] R. Milano Migliarini, Elzeviri di terza pagina. Istantanee di letteratura, poesia, romanzo, racconto, Perugia, Midgard, 2013.
[4] M. Benedetto, Alberto Bergamini inventò la terza pagina e fondò il Giornale d’Italia, peró…, in «Gente d’Italia», del 9 aprile 2019.
[5] F. Cartelli, Terza pagina, in «Alias», del 6 febbraio 2016.
[6] Cfr., E. Falqui, Giornalismo e letteratura, Milano, Mursia, 1969.
[7] P. Mauri, Eugenio Scalfari. La cultura, l’intellettuale che cancellò la Terza pagina, in «Repubblica», del 14 luglio 2022.
[8] T. Bertelli, Terza pagina dei Giornali: Cultura impossibile?, in «Istituto Francesco Fattorello», del 3 marzo 2017.
[9] F. Abruzzo, Codice dell’informazione e della comunicazione, Roma, Centro di documentazione giornalistica, 2006, p. 78.
[10] A. Fichera, L’Italia del bello scrivere. Storie del giornalismo culturale dalla Terza pagina ad oggi, Minerva, Argelato, 2019.
[11] F. Cartelli, Terza pagina, cit.
Oltre al tramonto della Terza Pagina tocca assistere, ogni giorno, ovunque, al fenomeno di giornalisti ignoranti, e della storia e della ortosintassi, purtroppo. Non solo son faziosi ed usano un linguaggio povero e stereotipato, ma denunciano carenze culturali d’ogni genere, ereditate da una scuola sempre più limitata, che ha rimosso il merito e la selezione. Da una pedagogia dell’inclusione e pseudo-montessoriana che è fabbrica di consenso a buon mercato ed autoreferenzialità scipita e becera, non progressista… Tutti ignoranti, ispiratori di altri ignoranti, e forse, temo…neppur liberi e felici!
In tempi in cui il numero delle pagine di un giornale non era superiore alle sedici, il peso specifico della terza era senz’altro maggiore di quello delle pagine culturali di oggi, ingolfate spesso dalle autopromozioni di iniziative commerciali della casa editrice, che pubblica libri, vende dispense, organizza persino viaggi. E’ vero che i maggiori quotidiani possono vantare supplementi letterari spesso molto (e a volte troppo) corposi, con dovizia di firme, però sarebbe oggi impossibile incontrare, in esse come nel corpo di un giornale, l’eleganza degli elzeviri di un Ridolfi o di un Sanminiatelli. Eppure chi dirige i quotidiani dovrebbe tenere conto nell’impostazione e persino nella grafica degli stessi del fatto che gli acquirenti di giornali cartacei sono in prevalenza ultracinquantenni, impazienti degli eccessi della pubblicità mascherata e inclini a privilegiare la qualità alla quantità. E invece ci si ostina a realizzare in funzione dei giovani un prodotto che i giovani compreranno sempre di meno.
I giovani, è vero, non leggon più i quotidiani, neppure per Internet.
@Guidobono Ravvisi aspetti centrali che possono solo essere oggetto di condivisione. Ti ringrazio per il commento che sposta giustamente il focus anche sulla questione giovanile e sull’analfabetismo funzionale, per dirla con De Mauro. E non da un ultimo, sul ruolo della martoriata “scuola”.
@Enrico Verissimo anche questo aspetto: il peso specifico della pagina culturale è venuto meno parallelamente alla destoricizzazione degli studi e dei momenti di approfondimento. La visione scalfariana, da questo punto di vista è stata deleteria, ma anche – e purtroppo – frutto dei tempi. Nel centro delle tendenze centrifughe rispetto gli epicentri culturali, proprio i giovani: a noi l’onere e l’onore di tentare, per quel che si può, di perpetuare la traditio degli elzeviri e degli scritti, pur se quotidiani, che contano e rimangono.