Il risultato delle ultime elezioni politiche ha ufficialmente decretato la fine dell’antifascismo in assenza di fascismo. Il Partito democratico aveva puntato quasi tutte le sue carte nell’evocare lo spettro dell’onda nera provocata dal centrodestra a guida meloniana e ne è rimasto bruciato. A un certo punto Letta e compagni si erano pur resi conto che l’evocare la minaccia dei seguaci del Duce, nel 2022, con ben altre urgenti questioni sul tavolo che con la storia del Novecento c’entrano un bel niente, incominciava ad essere ridicolo e così hanno cambiato la forma dei loro appelli allarmati mantenendone inalterata la sostanza. Si è quindi spostato il tiro sulle amicizie pericolose della leader di Pratelli d’Italia e siccome il babau per eccellenza, il diabolico Putin, non era più disponibile, essendosi Giorgia prostrata in maniera esagerata ai piedi della Nato e di Zelensky, si è ricorsi al lucifero di riserva, l’esecrato capo del governo ungherese Orban.
Beninteso, di Orban i politici del centrosinistra sanno un bel niente -dei suoi successi economici, della sua politica sociale, del consenso massiccio di cui gode nel suo Paese- ma gli basta la vulgata faziosa che gli imbastisce la stampa occidentale. È un calpestatore dei diritti civili, in particolare di quelli Lgbt, un distruttore dell’indipendenza della magistratura, un fanatico nazionalista. Insomma, è in sintesi un sovranista. Sovranista per i progressisti is the new fascista, non immaginandosi nemmeno lontanamente che la questione della sovranità, almeno a partire dal cinquecentesco Jean Bodin, è il cuore della riflessione politica. Ma se dare del fascista ormai è un po’ démodé al di fuori dei centri sociali e di giornaliste socialite alla Rula Jebreal, l’epiteto di sovranista si porta ancora bene negli ambienti progressisti.
Anche il cambio nominale della scomunica, però, non è servito a niente. Gli elettori se ne sono fregati di Orban e il risultato lo conosciamo tutti. Il simbolo della fine dell’antifascismo come strumento di conquista elettorale è plasticamente rappresentato da Isabella Rauti, con il suo ponderoso cognome lasciatogli in eredità dal padre che, oltre a essere uno storico esponente missino, fu anche, horribile dictu per orecchie progressiste, il fondatore di Ordine Nuovo, la quale ha stracciato, a Sesto San Giovanni, ai bei tempi Stalingrado d’Italia, nientemeno che Emanuele Fiano uno dei politici che, ancora oggi, più la rimena con l’antifascismo e con le accuse di antisemitismo.
L’antifascismo ormai, serve a convincere solo i già convinti, quelli per cui non si parla mai abbastanza del 25 aprile, delle leggi razziali e di quanto schifo abbiano fatto Mussolini e i suoi accoliti. Il resto del popolo se ne disinteressa e si preoccupa giustamente di temi più attuali e gravi. Attenzione, però, se l’antifascismo in assenza di fascismo non paga più elettoralmente, rimane però un’arma, sì ammaccata, ma ancora pericolosa in tutti i campi della vita civile. Che cos’è dunque questo antifascismo residuale ma ancora in grado di scomunicare chi non soggiace ai suoi dogmi? In poche parole, è lo strumento più potente di conservazione dell’esistente politico e culturale. Tutto ciò che fuoriesce dai consunti schemi su cui si è fondata la legittimità politica nel dopoguerra è sospettabile e sospettato.
Se in un qualunque Stato del mondo si affermano un leader e un movimento politico che si distaccano dai dogmi del liberalismo, meglio se venato di progressismo, sono immediatamente passibili di un interdetto da parte delle occhiute autorità laiche del pensare corretto. Personalità diversissime, e magari opposte, vengono accomunate nella stessa condanna. Per cui Bolsonaro è fascista, ma lo sono anche Chavez e Maduro, il peronismo argentino è inequivocabilmente fascista, mentre Trump lo è ancora di più, Putin nemmeno ne parliamo, non solo è fascista ma è pure un sanguinario nazista e di Orban abbiamo già detto e non occorre aggiungere altro.
Nella cultura la pratica sanzionatoria è ancora più estesa, per avere un po’ di spazio bisogna prima praticare un autodafè che esorcizzi eventuali cattive intenzioni e proclami la santità dei principi di progresso e liberalismo, aderendo incondizionatamente al dogma del pensiero unico. Solo uno screanzato come Michel Houllebecq è riuscito, negli ultimi anni, a ottenere un grande successo grazie all’immenso talento dei suoi primi romanzi, infischiandosene della correttezza politica. Ma è un caso che conferma la regola, per il resto non si passa. Se per caso si è costretti a parlare, per esempio, di giganti come Celine e Mishima, e proprio non si riesce a dire che scrivevano male, bisogna subito aggiungere ad nauseam quali brutte persone fossero, non sia mai che qualche lettore possa intravvedere qualcosa di positivo nella loro visione del mondo.
Della grande stampa non si dovrebbe nemmeno parlare, tanto è chiaro che la scomunica antifascista, intesa come divieto di distanziarsi anche minimamente dalla linea di atlantismo, liberalismo, difesa di qualsivoglia cosa venga considerata un diritto civile, sia del tutto imperante. Ma è sul piano del pensiero politico, della ricerca di inedite sintesi che contribuiscano a ridefinire il terreno degli schieramenti politici che la vigilanza conservatrice è particolarmente attenta. Dall’anacronistico schema di destra e sinistra, tra l’altro sempre più simili per una buona parte dei principi fondamentali e divise ormai quasi solo per una questione di tifoseria, non ci si deve allontanare. Fin dagli ormai lontani tempi dei convegni tra alcune delle migliori menti provenienti dalla destra radicale, come Marco Tarchi e Franco Cardini, e altre che invece si erano situate a sinistra, come Massimo Cacciari e Giovanni Tassani, il dialogo fu sabotato dalla censura culturale e mediatica. Da quel momento ogni scambio culturale, potenzialmente fecondo di innovazione del pensiero politico, tra intellettuali di diversa origine, è sottoposto a una sottocategoria della condanna antifascista: l’accusa di essere rosso-bruni, cioè di fatto di essere in occulto dei nazionalsocialisti.
Ecco, dunque, la potente funzione conservatrice dell’antifascismo in assenza di fascismo che non serve più a far vincere le elezioni, ma ad obbligare chiunque le vinca ad attenersi ai fondamenti del pensiero unico e anche il prossimo governo italiano vi si dovrà confermare: individualismo liberale, egemonia statunitense con subordinazione dell’Europa, liberismo e turbocapitalismo finanziario. Il trucco è vecchio, ma funziona ancora.