Non v’è dubbio che in materia di pellegrinaggio, e non solo jacopeo, Domenico Laffi è il pellegrino italiano più conosciuto e, di conseguenza, maggiormente citato fra gli studiosi e i cultori di letteratura odeporica religiosa. Ciò in ragione sia dei suoi tre pellegrinaggi a Santiago de Compostela (1666, 1670, 1673) – da cui trasse l’ormai famosa relazione Viaggio in Ponente, che ebbe nel corso di poco più di cinquant’anni, dal 1673 al 1726, ben quattro edizioni e una ristampa – (1), sia del suo pellegrinaggio in Terra Santa (1678), pubblicato in due edizioni, 1683 e 1738 [cfr. LAFFI, 1683], sia del suo pellegrinaggio a Lisbona (1687), pubblicato nel 1691 [cfr. LAFFI, 1691] (2).
Di Domenico Laffi si hanno scarsissime notizie biografiche (3). Abbiamo notizie certe sulla sua nascita a Vedegheto di Savigno, nell’Appennino bolognese, il 3 agosto 1636, e che si trasferì in tenera età con la famiglia a Bologna. Tuttavia, disconosciamo sia il luogo che la data della sua morte. Da alcune informazioni forniteci da lui stesso nei suoi resoconti di viaggio sappiamo che aveva amicizie e conoscenze altolocate, tanto in ambienti ecclesiastici quanto in ambienti altoborghesi e aristocratici. Tali “privilegi” non erano dovuti né alle sue origini, assolutamente non nobili, né a qualche alta carica ecclesiastica, poiché semplice sacerdote, come certificano gli imprimatur delle sue opere.
A tale riguardo – come già da me riferito anni fa, nel 1993, in occasione di un Congresso internazionale tenutosi a Santiago de Compostela – sono dell’avviso che Domenico Laffi fosse considerato all’epoca una vera autorità in materia di pellegrinaggio e, allo stesso tempo, almeno nella sua Bologna, una personalità letteraria di rilievo, godendo presso il pubblico di gran credito, non solo come autore di resoconti di viaggio, di certo il campo a lui più congeniale e che gli avrebbe garantito fama postuma, ma anche come drammaturgo [cfr. DE CUSATIS, 19952: 201].
Laffi, difatti, è autore di cinque opere teatrali, pubblicate fra il 1670 e il 1689 [cfr. DE CUSATIS, 1988: 21-22]. Mi limito a ricordarne solo una, La Fedeltà anche doppo Morte, overo il Regnar doppo Morte [cfr. LAFFI, 1689], a seguito della sua valenza storico-culturale, visto che, pur essendo – come da me a suo tempo appurato – un adattamento in prosa del dramma in versi Reinar después de morir (Lisbona, 1652) di Luis Vélez de Guevara, con questa sua tragedia il sacerdote bolognese ha avuto il grande merito di introdurre per primo in Italia il cosiddetto «tema inesiano» [cfr. DE CUSATIS, 19951): tema diffusissimo nella tradizione culturale iberica, assurto con il tempo in Portogallo a vero e proprio mito nazionale, e le cui origini si riallacciano alla funesta e leggendaria vicenda della passione amorosa fra il sovrano portoghese Pietro I di Borgogna e la nobildonna castigliana Inés Pires de Castro.
Questo brevissimo excursus sulla grande fortuna editoriale di Domenico Laffi, unita ai suoi interessi extra religiosi e devozionali, è mirato a fare emergere due caratteristiche importanti che lo contraddistinguono rispetto alla maggioranza degli autori di resoconti di pellegrinaggio del passato, religiosi o laici che fossero.
La prima caratteristica concerne il grande interesse del sacerdote bolognese per motivi letterari e storico-culturali dell’area oltre pirenaica che prescindano dalla materia specifica del pellegrinaggio jacopeo [cfr. DE CUSATIS, 19951]; la seconda è quella di essere uno scrittore, a un tempo, autorevole e colto, che si sforza continuamente di riportare quel che ha visto, letto o solo udito in maniera critica, spesso distaccata, e senza alcun tipo di condizionamento se non quello della fede, da lui chiaramente intesa come virtù teologale.
Quest’ultima caratteristica fa di Domenico Laffi un onesto professionista. Un’onestà che si evidenzia dalla preoccupazione costante del riferimento alle fonti. In sostanza, allorquando è dell’avviso che la sua esperienza diretta potrebbe non bastare ad avvalorare, di fronte al lettore, quel che riferisce – soprattutto nel riportare eventi miracolosi –, il sacerdote e scrittore bolognese ricorre alle fonti; e lo fa in modo puntiglioso, direi quasi ossessivo, se si tiene conto, ad esempio, che nella relazione del suo Viaggio da Padova a Lisbona cita oltre sessanta autori, fra cui molti biografi, geografi e storiografi. In particolare, solo nelle sessanta pagine circa dedicate all’itinerario portoghese si contano ben ventuno riferimenti, suddivisi fra dodici autori [cfr. LAFFI, 1691: 300-358].
Vediamo nel dettaglio quali sono tali fonti bibliografiche utilizzate da Laffi nelle pagine concernenti il suo itinerario in Portogallo. Per semplificare al massimo la loro analisi le raggrupperò schematicamente in tre categorie generali: fonti storico-religiose e devozionali; fonti storico-geografiche; fonti letterarie.
Quelle storico-religiose e devozionali – e non poteva essere diversamente – sono le fonti più ricorrenti.
In occasione della descrizione della cattedrale di Lisbona consacrata a san Vincenzo Martire, vescovo di Zaragoza, le cui reliquie sono ancora oggi conservate al suo interno, ivi traslate in modo miracoloso – come vuole la tradizione – il 15 settembre 1173, Domenico Laffi ricorre al teologo e predicatore spagnolo Alonso de Villegas (1534-1615?) e ai suoi celebri Flos Sanctorum [cfr. VILLEGAS, 1588: 163-167] per spiegare la presenza nel tempio di due corvi addomesticati che davano l’impressione che stessero lì a protezione del sepolcro del Santo, in ricordo – sempre secondo la tradizione – dei primitivi corvi che, nella piazza di Valencia, dove san Vincenzo fu martirizzato il 22 gennaio del 304, avevano difeso il suo corpo «dalle ingiurie del popolo infedele e dalla voracità delli animali» (53-54) (4).
Sempre a proposito di animali legati a eventi miracolosi, Laffi s’avvale sia della famosa Historia Naturae, Maxime Peregrinae del gesuita e mistico spagnolo Juan Eusebio Nieremberg (1595-1658) [cfr. NIEREMBERGH, 1635: 200-202 (De Cane quodam Ulyssiponis)], sia de Le Stuore del padovano Giovanni Stefano Menochio (1575-1655), anch’egli padre gesuita [cfr. MENOCHIO, 1778: 182-183] per riferire la storia di un cane, di nome Tedesco e di proprietà di un pasticciere, che nella Lisbona dei primi del ‘600 accompagnava per strada il Santissimo Sacramento ogni qualvolta che era portato in processione agli infermi; e nel farlo correva su e giù, senza ubbidire ad alcuno, nemmeno al suo padrone, «come se havesse cura di disporre e ordinare, come fanno li scalchi», non solo abbaiando ma a volte anche mordendo, che tutti i partecipanti alla funzione si comportassero degnamente e con reverenza (65-66).
Ricorre a ben sei autori – il succitato Juan Eusebio Nieremberg [cfr. NIEREMBERGH, 1635: 392 (De immagine pueri Iesu crescentis)], Philippe Berlaymont (1576-1637) [cfr. BERLAYMONT, 1618: 19], Valerio Veneziano (?) [cfr. VENETIANO, s.d.], Philippe Briet (1590-1647) (cfr. BRIET, 1648-1649: 318), Silvestro Pietrasanta (1590-1647) [cfr. PIETRASANTA, 1655: 148-149 (De usu imaginum sacrarum)] e Felice Astolfi (?) [cfr. ASTOLFI, 1623: 292-293] – per raccontare nei minimi dettagli la storia miracolosa, occorsa nel 1240 a Santarém, di due fanciulli che erano soliti, subito dopo aver servito messa nella chiesa del monastero di S. Domingos das Donas, distrutta dal terremoto del 1° novembre 1755, appartarsi per fare colazione in una cappella dov’era custodita una scultura della Beata Vergine con Gesù Bambino, il quale ogni volta discendeva dal grembo della madre per mangiare con loro. Scrive Domenico Laffi che i
«fanciulli havendone motivato al sagristano loro maestro, che molto restò ammirato di questo fatto, gli disse: “Dite a quel Bambino che inviti ancora voi col vostro maestro a casa del suo Padre Celeste a far colatione, e state attenti a ciò che vi risponderà”. Il giorno seguente, mentre li due fanciulli facevano colatione, Gesù pure discese a mangiare con loro, e essi gli dissero: “Signore, già che voi sempre mangiate in nostra compagnia, invitate noi ancora, con il nostro padre maestro, a casa del vostro Padre celeste a far colatione”. Alla cui dimanda non fu lento a rispondere il Sacro Fanciullo, invitandoli per il giorno dell’Ascensione, la qual solennità era vicina.
Il predetto giorno della gloriosa Ascensione, Frà Bernardino celebrò la S. Messa, servendola li due fanciulli, qual finita tutti 3 spirorono l’anima e andorono, conforme la promessa, a reficiarsi alla mensa del Paradiso; furono posti tutti tre in un tumolo, il quale dell’anno 1277 fu aperto e i loro corpi furono ritrovati incorrotti, e risplendono con molti miracoli» (73-74).
Ricorrendo ai già citati Juan Eusebio Nieremberg [cfr. NIEREMBERGH, 1635: 392 (De Cristo fideiussore)] e Silvestro Pietrasanta [cfr. PIETRASANTA, 1655: 147], Laffi fa riferimento a un altro miracolo occorso sempre a Santarém e legato a un Crocefisso – noto come il Crucifixo de S. Bento – la cui particolarità è quella di avere il Cristo entrambi le mani schiodate dalla croce. L’evento miracoloso – come ricorda il sacerdote bolognese – si sarebbe dato a seguito del fatto che un giovane, con l’intento di possedere una donna, promise e giurò davanti al Cristo Crocefisso di sposarla. Ottenuto, tuttavia, quel che desiderava, rinnegò la promessa. Cosicché, venne imprigionato e, per ordine del magistrato, condotto davanti al Crocefisso: miracolosamente la sacra immagine schiodò entrambe le mani a testimonianza della verità dell’accaduto (78-79) (5).
È ancora una volta il gesuita Silvestro Pietrasanta [cfr. PIETRASANTA, 1655: 147] a fornire a Domenico Laffi notizie su un altro evento miracoloso – legato alla ricorrenza, oramai secolare, delle Festas das Cruzes (agli inizi di maggio d’ogni anno) a Barcelos, l’avvenimento più spettacolare di questa città del nord del Portogallo e che si riallaccia alla “visione” avuta, nel 1504, da un calzolaio del luogo, João Pires, di una croce improvvisamente apparsa incisa nel suolo. Scrive Laffi:
«Vi è […] vicino a Bavellos, in una picciola chiesa detta del Buon Giesù, una statua di Christo che porta la croce, e nel territorio circonvicino a detta chiesa si vedono, in certi tempi, formate in terra, varie croci grandi, particolarmente nella solennità dell’Inventione ed Esaltatione di S. Croce, e ancora il Venerdì Santo, ne’ quali giorni vi concorre per divotione grandissima quantità di persone; e quantunque levino la sudetta terra, mai non apparisce alcun segno che quella manchi, così dicono li abitanti di detto luogo […]» (79) (6).
Subito a seguire, richiamandosi al De Gloria Martyrum di san Gregorio di Tours (538-594) [cfr. GREGORIUS TURONENSIS, 1623: 534-535] Laffi menziona un miracolo occorso a «Osen» – probabilmente l’attuale Ourém, cittadina situata a pochi chilometri da Fatima:
«Dicono ancora questi portughesi che in un luogo detto Osen, vi è un vaso babtisimale di marmo, posto in una gran chiesa, nella quale radunandosi il popolo col vescovo il Giovedì Santo vi fanno oratione, e di poi il vescovo fa serrare e sugellare le porte, e tornatovi col medemo popolo il Sabbato Santo prossimo a battezzare, guarda a i sugelli e apre le porte, cosa mirabile, là dove avevano lasciato il vaso vuoto, lo trovano pieno d’acqua che sopravanzando l’orlo non trabocca da quello, e doppo essersi con esorcismi e con la cresima santificato, ne piglia ciascheduno un vaso per aspergere con essa i campi e poderi, senza che punto si scemi, ma sì bene quando da principio a battezzare i bambini comincia a mancare, e battezzati tutti, affatto sparisce, senza sapersi come […]» (79-80).
Passando alle fonti storico-geografiche, nelle pagine della relazione laffiana dedicate all’itinerario portoghese sono citate solo due opere: la Descriptio Orbis et omnium ejus Rerum Publicarum di Luc (Luca) de (di) Linda (1625-1660), del 1655 – tradotta in italiano, con aggiunte e correzioni, dal marchese Maiolino Bisaccioni e pubblicata in prima edizione a Venezia nel 1660 [cfr. LINDA, 1674] – e la più nota Le Relationi Universali di Giovanni Botero (1540-1617), pubblicata in più edizioni, sempre a Venezia, alla fine del secolo XVI [cfr. BOTERO, 1596]. Cosicché, Domenico Laffi desume la maggior parte dei dati sul Portogallo storico e geografico proprio da queste due opere, alquanto famose all’epoca, anche se spesso riportano delle inesattezze, soprattutto – com’è ovvio – nel campo delle misurazioni.
In particolare, riguardo all’opera del Botero, che ha rappresentato per Laffi la fonte principale quanto ai dati geografici riferiti – e non solo nelle pagine dedicate all’itinerario portoghese, ma in tutto il resto della relazione e anche nel suo Viaggio in Ponente –, c’è da dire come lo scrittore bolognese arrivi, alle volte, in alcuni brevi passi, quasi a “plagiare” l’opera boteriana. Una tale constatazione, tuttavia, non sminuisce assolutamente il valore sia letterario che storico-culturale dell’odeporica laffiana, in considerazione del fatto che quella del “plagio” – è bene ricordarlo – era una caratteristica assai diffusa in passato fra gli autori di resoconti di viaggio. Nel caso del Laffi, poi, tale caratteristica è ancora più trascurabile in virtù sia delle poche parti “sotto accusa”, sia della sua estrema onestà professionale nel riportare sempre segnalate, al contrario della maggioranza dei suoi colleghi, le fonti bibliografiche da lui utilizzate.
Sicché, ad esempio, ricorre espressamente a Giovanni Botero [cfr. BOTERO, 1596: Parte 1ª, 15-18] e a Luca di Linda [cfr. LINDA, 1674: 4-6] allorquando riporta i dati sulle estensioni del Portogallo epocale – incluse quelle di alcuni «fiumi reali, come il Guadiana, il Tago, il Mondego, il Duero e il Minio, quali per lo più hanno le arene d’oro» – e sulla divisione e la natura stessa delle sue province –
«Si divide il Portugallo in 6 provincie, la prima delle quali è il regno d’Algarve […], l’altre 5 sono le seguenti: la Ulisiponense, che è quella di Lisbona, dove entra parte dell’Estremadura, l’Alenteio, Beira, Braganza [l’attuale Trás-os-Montes], l’ultima è il Condado di Portugallo [l’attuale Entre-Douro-e-Minho]» – (7),
con le loro città ed i «luoghi celebri» (Descritione del Regno di Portugallo: 66 e ss).
Quanto alle fonti letterarie, discorrendo sulle origini mitiche del regno lusitano, Laffi fa un preciso riferimento a Luís Vaz de Camões (1524? -1580) – ritenuto spagnolo e il cui nome italianizza, molto liberamente, in Lodovico Camonio – e, pur se in maniera indiretta, a Os Lusíadas:
«Il Regno di Portugallo, detto dalli antichi e da latini Lusitania, è la parte più occidentale d’Europa. Si chiamava Lusitania dal re Luso, figlio, altri dicono compagno di Bacco, e da altri dicono da Lysa, compagno di Luso sudetto, che fu il primo a scoprire detto paese, come riferisce Lodovico Camonio, poeta celeberrimo spagnolo» (66) (8).
È probabile che lo scrittore bolognese, durante il suo soggiorno in Portogallo, abbia avuto fra le mani – magari reperendola nella capitale portoghese, in casa del nunzio apostolico Nicolini Fiorentino che lo ospitò, e lì leggendola di sfuggita – una delle due edizioni italiane del poema epico camoniano, entrambe pubblicate a Lisbona (1658 e 1659) e tradotte da Carlo Antonio Paggi, proconsole genovese in Portogallo fra il 1656 ed il 1666, con il titolo Lusiada italiana [cfr. CAMÕES, 1658]. Una volta in Italia, a distanza di alcuni anni dal suo viaggio, nello stenderne il resoconto, quasi certamente Laffi si sarà confuso – chissà! forse anche tratto in inganno dalla specificazione «Prencipe de’ Poeti delle Spagne» contenuta nel sottotitolo della traduzione di Paggi – sul nome e la nazionalità dell’autore del poema.
Altra supposizione abbastanza plausibile è che sempre dal poema camoniano Laffi abbia attinto le prime notizie sulle tristi e tragiche vicissitudini di Pietro I di Borgogna e Inés Pires de Castro – è risaputo, in tal senso, come il grande Camões abbia consacrato alla storia leggendaria dei due celebri amanti diciannove bellissime ottave del canto III de Os Lusíadas [cfr. CAMÕES, s.d.: 158-163 (canto III, strofe 118-136)]; la qual cosa, inoltre, potrebbe in parte giustificare quel sottotitolo «cavata dal portoghese» della sua tragedia inesiana, nonostante il modello di quest’opera, come precedentemente ricordato, sia castigliano.
Note
(1) La prima edizione di questa relazione “mescola” i primi due viaggi, quelli del 1666 e del 1670 [cfr. LAFFI, 1673]. Le tre edizioni successive più una ristampa, tutte edite dalla famiglia dei tipografi Pisarri, uscirono, riviste e ampliate rispetto alla prima edizione – poiché nel frattempo Domenico Laffi avrebbe compiuto un terzo pellegrinaggio a Santiago (1673) [cfr. LAFFI, 1676]. Il testo di tale relazione laffiana sarebbe stato ripubblicato in epoca contemporanea in Italia (cfr. LAFFI, 1989] e in Spagna [cfr. LAFFI, 1991].
(2) La parte concernente l’itinerario portoghese di questa relazione è stata, da chi scrive, ripubblicata sia in Italia [cfr. LAFFI, 1988] che in Portogallo [cfr. DE CUSATIS, 1998].
(3) Cfr. DE CUSATIS, 1988: 17-25.
(4) Sia questo che i successivi rimandi di pagina, sempre indicati fra parentesi tonde, si riferiscono alla trascrizione del testo laffiano da me attualizzato e pubblicato [cfr. LAFFI, 1988: 31-91].
(5) Questo miracolo è riportato anche da Lorenzo Magalotti nella sua Relazione del viaggio di Spagna, compiuto nel 1668-1669 dal principe Cosimo III de’ Medici e di cui era segretario al seguito: «È famosa questa Villa [Santarém] per la molteplicità de miracoli, che vantano essere stati operati in essa… [Uno di questi è quello] …di un Cristo da per se stesso sconfitto di croce per servir di testimonio a una giovane ingannata sotto promesse di matrimonio, e questo sta nell’altar maggior d’una Chiesa di Benedettini» [Cit. in SÁNCHEZ RIVERO, 1993: 309-310].
(6) La chiesetta o cappella del Bom Jesus di cui parla Laffi era stata eretta proprio nel luogo della “visione”. Successivamente, nel 1704, sulle sue rovine sarebbe stata costruita l’attuale chiesa del Bom Jesus da Cruz. In uno degli altari laterali è situata un’effige del Signore della Croce, che la tradizione vuole sia stata portata dalle Fiandre, nel 1505, da un mercante di Barcelos per essere collocata nel luogo dov’era apparsa la prima croce.
(7) Antica divisione amministrativa e giudiziaria del Portogallo, ufficializzata solo a partire dal sec. XV.
(8) Il riferimento è al Canto III, strofa XXI, vv. 5-8 di Os Lusíadas: «Esta foi Lusitânia, derivada / De Luso ou Lisa, que de Baco antigo / Filhos foram, parece, ou companheiros, / E nela antam os íncolas primeiros» [CAMÕES, s.d.: 134].
Bibliografia di riferimento
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– BERLAYMONT, Philippe, 1618. Paradisus Puerorum, in quo primaenae honestatis, totiusque pueritiae recte informatae reperuntur exempla…. 8 tt. Societatis Iesu, apud Martinum Nutium et Joannem Menrsium, Antuerpiae: III.
– BOTERO, Giovanni, 1596 (3a ed.). Le Relazioni Universali di Giovanni Botero Senese. Divise in Quattro Parti… Giorgio Angelieri, Venetia.
– BRIET, Philippe, 1648-1649. Parallela Geographiae veteris et novae. Auctore Philippo Brietio, Abbavillaeo, Societatis Iesu Sacerdote. 3 tt. Sumptibus Sebastiani Cramoisy, Regia & Reginae Regentis Architypographi: et Gabrielis Cramoisy, Parisiis: I.
– CAMÕES, Luís Vaz de, 1658. Lusiada italiana… Poema eroico del grande Luigi de Camões Portoghese, Prencipe de’ Poeti delle Spagne (tit. orig.: Os Lusíadas de Luís de Camões. Em casa de António Gonçalves Impressor, Lisboa 1572, 1ª ed.). Tradotta da Carlo Antonio Paggi. Henrico Valente de Oliveira, Lisbona (2ª ed. emendata: Lisbona 1659).
– CAMÕES, Luís Vaz de, s.d. «Os Lusíadas» de Luís de Camões. Edição organizada por Emanuel Paulo Ramos. Porto Editora. Porto.
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– PIETRASANTA, Silvestro, 1643, 1646 e 1655. Thaumasia Verae Religionis, a Silvestro Petrasancta Romano, e Societate Iesu, Proposita, Contra Perfidiam Sectarum. 3 tt. Tres Pilas Aureas, Roma 1643 (I), Typis Vitalis Mascardi, Roma 1646 e 1655 (II e III): III.
– SÁNCHEZ RIVERO, Ángel e Angela Mariutti de (a cura di), 1993. Viaje de Cosme de Médicis por España y Portugal (1668-1669). Junta para ampliación de estudios e investigaciones científicas – Centro de Estudios Históricos / Sucesores de Rivadeneyra, S.A., Madrid.
– VENETIANO (da Venezia), Valerio, s.d. Prato Fiorito di Varii Esempi. Venetia… [?] (l’incompletezza della citazione si deve al fatto che l’unico esemplare da me reperito – Biblioteca Comunale Augusta, Perugia, n° di coll. IH 19139 – oltre ad essere mutilo di alcune pagine, è privo del frontespizio).
– VILLEGAS, Alonso de, 1588. Nuovo Leggendario della Vita, e Fatti di N. S. Giesù Christo, e di Tutti i Santi […] Raccolto da gravi, & approbati Autori, & dato in luce per avanti in lingua Spagnuola, sotto tittolo di Flos Sanctorum, per Alfonso di Villegas di Toledo, Teologo, e Predicatore. E nuovamente com diligentia tradotto di Spagnuolo in lingua Italiana, per D. Timoteo da Bagno, Monaco Camaldolese. Guerra Fratelli, Venetia.
[La prima versione di questo articolo – ora qui in parte abbreviato e attualizzato – è stata pubblicata, con il titolo Fonti devozionali, storiche, geografiche e letterarie nell’odeporica lusitana di Domenico Laffi, negli Atti del Convegno Internazionale di Studi «Santiago e l’Italia» (tenutosi a Perugia il 23-26 Maggio 2002). Edizioni Compostellane, Perugia 2005: 187-196]