“Stupido greculo/ io non sarò mai/ fuoco fatuo/ che danza/ attorno al tuo ventre” dice Medea a Giasone in uno dei passaggi iniziali dell’opera “Medea” di Luciano Violante. Parole che avvolgono in una spirale di ferocia e disperazione, di superbia e carnalità il mito più imperdonabile. Medea, tradita e umiliata da Giasone, che la rese straniera di talamo e terra, ammazza i suoi figli in un gesto insostenibile da ogni logica umana e da ogni umano sentimento. Eppure, nella strega e maga già Euripide dall’angolo della sua visuale scomoda, intravide la fragilità di una donna che aveva sofferto le lacerazioni del parto come i maschi soffrono le lacerazioni della guerra. Ogni interpretazione moderna del mito di Medea ha il dovere di non tradire tale fragilità. Anche quando Medea la camuffa nella ferocia di una belva.
La rilettura di Luciano Violante fa di Medea una regina leonessa dalle viscere dilaniate, una donna che non vuole essere preda ma nello stesso tempo si vede una “sciocca cerbiatta/quando ti sentii/ delfino dentro i miei inguini”. Nei versi di Violante, di bellezza anch’essa insostenibile, Medea è mito e metafora assieme. Il mito di una donna in lotta per la libertà dei suoi figli che non consegnerà al fato lascivio della nuova corte del padre.
Un ribaltamento del mito? Piuttosto una rilettura che sposta il baricentro del tradimento: è Giasone a tradire il patto e Medea non può fare altro che sottrarre i figli e se stessa alla schiavitù del tradimento stesso. Ecco che la Medea di Violante si fa metafora della dignità di chi non si arrende al destino. A ogni costo. E diventa il simbolo possibile di un riscatto della Sicilia che, come Giasone, ha tradito i suoi figli migliori, crivellandoli di colpi sulle sue strade o facendoli saltare in aria come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Due eroi brechtiani che nel loro sacrificio assumono il sacrificio di molti altri e denunciano l’indegnità di chi non è stato capace di gesti estremi per impedirne i brandelli. Oggi, 19 luglio, nel giorno dell’anniversario della strage di via D’Amelio dove fu consumato il prevedibile tradimento contro la vera lotta alla mafia con l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta, apre nel Parco Archeologico di Morgantina, in provincia di Enna in Sicilia, il Barbablù Fest.
Apre in onore di un uomo e della sua terra, in onore di chi, come lo stesso Luciano Violante, quella terra l’ha vista deturpata dalla violenza e, non meno peggio, dalla inazione o dalla collusione. Ed ecco che Violante sposta il mito in Sicilia, nell’isola a tre punte dove Dioniso, Demetra e Kore inaugurano i miti Eleusini “In questa terra/il divino e l’umano/ si intrecciano/ perdendo i confini/ In questa terra/c’é/la chiave di tutto”. Qui a Medea, la madre assassina, tocca il compito di rendere giustizia agli assassinati, tocca invocare affinché si fermino i lutti prima che sia troppo tardi e affinché la memoria non si disperda. La Medea di Violante ha una forza selvatica e dionisiaca ed è, possiamo dirlo, incarnata da una stupenda Viola Graziosi. Già Clitemnestra per il primo testo di una trilogia di Violante sulle eroine della mitologia (la prossima sarà Circe), Viola Graziosi afferra la scena con la forza di un corpo quasi animalizzato. Sporca di sangue, lacera nelle vesti, scomposti i capelli, Medea- Graziosi si ricompone davanti alle vittime della terra di Kore. Lo spettacolo è stato rappresentato, per la prima volta a marzo, a Palermo nella chiesa di San Domenico dove è sepolto Giovanni Falcone. Adesso un altro luogo significativo: Medea torna laddove Violante l’ha immaginata, in quel cuore della Sicilia onorata dai resti del passato e dal biondo mare del grano e nello stesso tempo stuprata dalla mafia e dai depistaggi. E se a Palermo Medea si inginocchiò davanti alla tomba di Falcone qui ci dice Giuseppe Dipasquale, regista dello spettacolo e direttore artistico dell’intera rassegna Barbablù Fest “Ho pensato che la tomba di Palermo potesse essere simbolicamente sostituita con una sorta di sepolcro che ci portiamo dietro. Medea nasce nelle intenzioni di Violante come tributo al trentennale della stragi di Capaci e via D’Amelio e manterremo il simbolo del sepolcro. Inoltre, abbiamo chiesto a Giuseppe Sottile di ricordare all’inizio dello spettacolo Boris Giuliano che era nato a piazza Armerina”.
Una rilettura del mito che declina ancora una volta, come accade per fortuna sempre più spesso anche nei teatri di pietra, l’antichità del luogo con la modernità del senso: una fervida contaminazione di esegesi e di impegno, di scommesse sulla sperimentazione dei linguaggi. Il Barbablù Fest nasce da un’idea di Pietrangelo Buttafuoco sulla scia di un’immagine che deve molto alla sua genialità “Tutto quello che la testa ci fa dire”. La testa è quella di Ade, reperto al centro di una vera avventura archeologica: reperto in terracotta di età ellenistica, quando fu trafugato negli anni Settanta da Morgantina e miracolosamente, si fa per dire, riapparso al Paul Getty Museum di Malibù, venne scambiato per la testa di Zeus; dopo una mostra del 2010 e grazie alla comparazione con i riccioli blu della barba rimasti a Morgantina, è stata riporato finalmente a casa al Museo di Aidone. In Sicilia ha ripreso la verità del nome- Ade e non Zeus- e ha acquistato anche quella della favola. Barbablù dà ora il nome a questa rassegna giunta alla sua seconda edizione con il patrocinio della Regione Sicilia per volontà dell’assessore ai Beni culturali e all’identità siciliana Alberto Samonà e la produzione di Terzo Millennio Progetti Artistici di Andrea Peria Giaconia. La testa fa dire di mito, teatro e quest’anno anche di musica con Nicola Piovani, Roy Paci, Kaballà con Antonio Vasta, Mogol. Al parco Archeologico di Morgantina due attori d’eccezione che firmano anche la regia delle loro pièce “La lupa” di Donatella Finocchiaro e “Ristrutturazione” di Sergio Rubini.
Poi “Lo straniero” con Adriano Giannini e “Venivano dal mare” con Lucia Sardo. Torna anche Buttafuoco con il suo “Il lupo e la luna” nella trasposizione teatrale di Valentino Picone con un duo scintillante Salvo Piparo e Lello Analfino. Lo spettacolo come quello di Kaballà si terrà alla vicina Villa Romana del Casale Spazio. Spazio anche agli eventi collaterali nei Giardini del Museo di Aidone: la presentazione del libro “L’alba che verrà” di Lorenzo Marotta e quello che si annuncia un dialogo succulento tra Buttafuoco e Francesco Bozzi autore di “La filosofia del suca”.
Appuntamento allora nell’ombelico di Sicilia, dove la testa promette davvero di dire tante cose.