Rigodon è la nuova rubrica di ispirazione celiniana curata da Roberto Alfatti Appetiti. Uno spazio di peregrinazioni tra letteratura e scritture altre, con la sola bussola della libertà di ricerca, e di esplorazione. Un angolo per un battitore davvero libero che arricchirà la navicella di Barbadillo con suggestioni di critica letteraria, culturale e sociale. Senza sconti, senza accomodamenti, senza camarille. Con l’autenticità che contraddistingue Roberto, uno dei più originali intellettuali anticonformisti italiani.
Un centro che, senza alleanze preventive, possa governare disinvoltamente con la sinistra o con la destra. È quello che Gianfranco Rotondi, nel suo saggio La variante DC. Storia di un partito che non c’è più e di uno che non c’è ancora (Solferino, 2021) definisce “il sogno erotico di tutti i democristiani”. Un libro gustoso, il suo, ricco di testimonianze dirette, aneddoti personali e riflessioni sulla fine della Dc e sulla sorte successiva dei suoi eredi nella Seconda Repubblica. Il tutto condito con una punta di sapida autoironia. Un saggio che ricostruisce la narrazione, orgogliosamente di parte, di quella che, prima di ridursi a plancton, fu la grande balena. Il titolo, va detto, dice molto della personalità dell’autore, sempre arguto e brillante, fornito di una scrittura vivace che si fa leggere con piacere anche quando affronta nodi storici e istituzionali complessi.
Certo, parlare di varianti in tempi di pandemia farebbe immaginare mutazioni negative, eppure la metafora è calzante: la DC, almeno fino al terremoto di tangentopoli, si è saputa adeguare alle esigenze dell’elettorato, unendo Nord e Sud, ceto medio e classi popolari, partite iva e disoccupati meridionali. L’ispirazione cristiana temperava le asprezze liberiste, e recuperava qualche istanza socialista, riuniva le masse cattoliche ma conquistava anche il consenso laico. Anche i conservatori anticomunisti – come Indro Montanelli, che certo democristiano non era – di fronte all’avanzata del PCI si ritrovarono a votare DC obtorto collo. Il grande giornalista di Fucecchio, nel 1976, dalle colonne del suo Giornale, pronunciò il suo celebre “turatevi il naso e votate DC”. Fu proprio in quella fase – scrive Rotondi – che la DC perse l’occasione storica di non rigenerarsi, chiudendosi a riccio nel nome dell’autosufficienza: “il partito democristiano entrò in crisi perché non seppe rinnovarsi e trasformarsi in un polo conservatore di natura liberal-democratica”.
Un partito anticomunista
La Dc rimase sempre un partito anticomunista legato a pratiche di potere appoggiate su un patto sociale che “assicurava l’evasione fiscale al Nord e un’economia assistenziale al Sud”. E quando fu costretta a schierarsi a causa del Mattarellum, la legge elettorale maggioritaria approvata nel 1993, fu travolta dal bipolarismo e “affogò nel terzo polo”. Il centro per essere forte non deve essere qualcosa che si mette in mezzo tra destra e sinistra. “Finché si finisce sempre per allestire una zattera e salvare poche individualità, quello non è il centro ma solo una politica di salvataggio”.
Una chiave interpretativa peculiare che illumina le difficoltà degli anni Ottanta, dovute anche alla scomparsa di un fine stratega come Moro, e che spiega anche l’impreparazione scudocrociata al crollo del comunismo e al conseguente venir meno del prezioso collante dell’anticomunismo.
La Dc, insomma, non fu in grado di rinnovarsi e trasformarsi in un partito di stampo conservatore europeo. Travolta da Mani Pulite e poi dal fenomeno Berlusconi, visse un’infinita diaspora segnata da scissioni, lotte e divisioni. Basti pensare che ad oggi esistono 75 sigle che si richiamano all’eredità democristiana, ma che evidentemente non hanno alcun futuro.
Quel che è indubitabile, tuttavia, è che la DC non è stata un partito fra i tanti, per decenni è stato partito di maggioranza relativa, con un’ampia e trasversale base sociale, sicuramente di radice cattolica ma un partito plurale, con grandi e diverse sensibilità ma all’interno di un unico progetto politico.
La forza e insieme la debolezza della Democrazia Cristiana – annota il sopravvissuto Rotondi – “è che il suo spirito è ovunque: a destra, a sinistra e in tutti i partiti e un po’ dovunque ci sono democristiani che si sono fatti strada”.
Il resto è storia recente o quasi, una storia in cui non c’è più la Dc ma resistono molti democristiani, ai quali l’autore rimprovera benevolmente di aver badato più a salvare loro stessi che a rifondare o almeno tentare di rifondare un progetto politico comune.
La Meloni e i Dc
Non manca un capitolo dedicato a Fratelli d’Italia con il titolo eloquente “Se Giorgia apre le braccia…” che riprende una battuta di Guido Crosetto, unico democristiano tra i fondatori di FdI, con cui Crosetto già nel 2018 prefigurava la Giorgia nazionale prima donna premier a capo di un blocco liberal-democratico. Rotondi sottolinea come la Meloni, oggi presidente del partito conservatore europeo, non avrebbe problemi di presentabilità europea. Nello scenario immaginato dall’autore, la Meloni potrebbe rimontare una specie di PDL alla rovescia, con la guida a destra e il centro berlusconiano e democristiano seduto a cassetta. Non sarebbe una nuova Dc, ma potrebbe diventarlo.
@barbadilloit
Un conglomerato di troppe cose diverse, tenuto insieme da fragili collanti. È vero: non seppe mai diventare un partito liberal-conservatore, non seguì la strada dei democristiani tedeschi. Tuttavia, fu una rovina per la politica italiana. Lasciò il campo agli eredi del PCI (che avrebbe dovuto sparire e che invece si trovò più forte che mai) E AD UN BERLUSCONISMO CHE TRADÌ TUTTE LE ATTESE.
Era ora che Alfatti Appetiti riconciasse a scrivere per Barbadillo… Bentornato!
Grazie, Giorgio!