Continua a far discutere e a riscuotere consensi il libro di Pierfranco Bruni “Passione e morte. Claretta e Ben” edito da Pellegrini (Cosenza), presentato anche a Bari qualche mese fa. Caratteristica di questo “racconto lirico” di Pierfranco Bruni è la sua scrittura che tende a far coincidere prosa e poesia. E’ proprio con una “ragione poetica”, per dirla con la filosofa spagnola Maria Zambrano, che lo scrittore calabrese cerca di restituirci nella pagina scritta l’oscurità del sentire.
Il racconto che, come bene riassume il titolo, ripercorre l’amore-passione di Clara Petacci e di Benito Mussolini e il suo tragico epilogo, si snoda tra storia, fantasia ed emozioni personali. In esso resta comunque centrale la figura del padre dello scrittore, che indossò la camicia nera anche dopo l’8 settembre e mai rinnegò la sua scelta politico-esistenziale. E’ il padre infatti che comincia a raccontare di quando “tutti eravamo fascisti”. Il figlio scrittore visita i luoghi dove si consumò la tragedia alla ricerca di un senso che sfugge, si interroga sul mistero di un amore nel tempo della storia, che diventa il paradigma dell’amore che resta fedele nella tragedia e non teme la morte: “l’amore, la passione, il rischio e la bellezza di una donna che ha saputo morire per il suo uomo”. Con un colpo di scena narrativa Bruni dà poi voce a Claretta e Benito con delle lettere inventate. Infine, riprende il dialogo col padre, che in una pagina di grande intensità, consiglia al figlio di non dimenticare mai, ma di andare oltre. Accanto al padre, il cui racconto si configura come storia, come elemento maschile, c’è, sia pure implicitamente, la madre, l’elemento femminile, che si configura come mito e fantasia: “Mio padre mi racconta. Mia madre ascolta ma rincorre i segni delle favole lontane.”, scrive Bruni nell’incipit del racconto.
Molto è stato detto e scritto su questa storia che Gervaso ha definito la più bella storia d’amore del ‘900 ed Ezra Pound ha cantato nei primi versi del suo capolavoro, i Pisan Cantos: “L’enorme tragedia del sogno nelle spalle curve del contadino / Manes ! Manes fu conciato e impagliato. / Così Ben e la Clara a Milano / per i calcagni a Milano…”. Nel racconto di Bruni emerge la figura di Claretta, donna affascinante e di straordinaria bellezza, che non indietreggia di fronte alla morte, che non ha paura di mostrare la sua umanità forte e delicata, né una dimensione più politica, come quando non si limita a consolare il duce stanco, sfiduciato e deluso, (“il sognatore naufragato”, come Benito si firmava in una delle lettere a lei indirizzate), ma consiglia, esorta a prendere decisioni, si misura con gli eventi del tempo. Ricordiamo, per inciso, che una serie prodotta da Rai Educational, “Le ultime lettere”, andata in onda l’anno scorso, ha proposto al pubblico le lettere che effettivamente Benito e Claretta si scambiarono durante i 600 giorni di Salò con l’interpretazione superba degli attori Michele Placido e Maya Sansa. Che cosa resta di questa storia? Probabilmente, la sua grande poeticità, il suo “essere sospesi tra cielo e lago”, come scrive Claretta in una sua lettera.
*“Passione e morte. Claretta e Ben” di Pierfranco Bruni edito da Pellegrini (Cosenza)