Monsieur de Lourdines appare ora qui tradotto con il titolo Un gentiluomo di campagna, romanzo con il quale nel 1911 Châteaubriant si aggiudicò il prestigioso Prix Goncourt. La narrazione sviluppa con dolenti accenti di sgomento e inquietudine le vicende del tracollo finanziario di un anziano gentiluomo del Poitou-Charentes a seguito del comportamento dissoluto di un figlio scapestrato.
Gli elementi chiave dell’arte di Alphonse de Châteaubriant appaiono già in modo definito in questo primo romanzo: robusta pittura di caratteri, interpretazione fra realistica e poetica della Natura, che compartecipa alle disgrazie del gentiluomo protagonista del racconto e allo sfacelo della sua proprietà:
Una giovane ape, che ha perso la strada dell’alveare e si è smarrita per il caldo dell’estate, va in cerca del polline sul fiore ricamato sulle tende ed è in punto di morte. Fuori, cadono le tenebre sugli ampi pascoli; nei boschetti un merlo canta un’ultima volta, facendo scolare le foglie bagnate sulle sue ali nere. (p. 88)
Dodici anni dopo il Goncourt, lo scrittore riceverà anche il Grand Prix du Roman de l’Académie Française per La Brière, opera ambientata nella omonima regione paludosa al confine settentrionale di Nantes e rimasta famosa per aver venduto oltre 600.000 copie, uno dei libri di narrativa di più forte tiratura in Francia nella prima metà del xx secolo. I caratteri del primo romanzo si precisano qui ulteriormente e il realismo si tinge chiaramente di colori romantici. Pur senza raggiungere la potenza rappresentativa dei romantici, Châteaubriant è capace di creare intorno ai suoi personaggi un’atmosfera che assume talora aspetti di selvaggia grandezza. Il romanzo è concepito a modo di sinfonia; ma nella stessa atmosfera predomina – è stato osservato – “un grigiore uniforme che dà un senso di stanchezza e quasi di oppressione”.
Convertito alle idee del nazionalsocialismo, il francese ne divenne l’apologeta nella Gerbe des forces (1937). Fuggito nel 1944, fu condannato a morte in contumacia nel 1945 per essere stato presidente del gruppo “Collaboration” durante l’occupazione tedesca. Si spense in esilio, lontano dalla sua terra nativa – la Bretagne –, a Kitzbühel, comune austriaco capoluogo dello stato federato del Tirolo.
* Un gentiluomo di campagna, di Alphonse de Châteaubriant (Archivio Cattaneo editore in Cernobbio. – 2022: pagg. 166 – euro 15,00)
Singolare figura quella di Alphonse de Châteaubriant (omofono, ma non ortograficamente identico, al più grande François -Réné), di cui ricordo il volume “Il fascio di forze”, del quale insieme a Tarchi e a Cardini curai la postfazione per la traduzione italiana, edita tanti anni fa da Akropolis-La Roccia di Erec. Brasillach – che ancora era una nazionalista maurrassiano – lo bollò come “Jocrisse au Walhalla”, un babbeo nel Walhalla . Ma nel Walalla ci finì, tragicamente, anche lui. Fu uno dei tanti esempi di quel richiamo dei fascismi che fece da pendant all’infatuazione per il comunismo sovietico nello stesso arco di tempo. “Pellegrini politici” ve ne furono dall’una come dall’altra parte, solo che gli adepti del “romanticismo fascista” pagarono più degli altri.
Châteaubriant a dire il vero si salvò, almeno dalle vendette che colpirono tanti “vinti della Liberazione”. Condannato a morte in contumacia, morì in esilio sotto falso nome e a difenderlo fu un pacifista convinto come Romain Rolland, con cui intrattenne una lunga corrispondenza che è stata pubblicata in più volumi. Del resto nella sua biografia c’è fra i tanti un aspetto molto singolare: in gioventù era stato uno dei difensori delle ragioni di Dreyfus.
La storia spesso riserva delle sorprese ed è fatta anche e soprattutto di chiaroscuri.
Conobbi questo scrittore tramite la rivista Elementi, un po’ di tempo fa…