24 agosto 1943. La bufera aveva avuto inizio. La guerra e il paese erano un’unica realtà. La tragedia trascinava tutti. Nessuno poteva essere risparmiato. E principalmente la storia non risparmiava gli uomini- simbolo; quelli che avevano offerto il loro coraggio alla causa della nazione, una causa pur sbagliata, ma la loro causa.
Se le guerre furono false, le vicende degli uomini furono un’altra cosa, perché vissute con l’innocenza tragica di chi pensò di fare il proprio dovere, di chi aveva questo nome, oggi dimenticato, Ettore Muti.
Nell’ agosto del 1943, il colonnello Muti, un soldato italiano, fu ammazzato. Resta un enigma di quegli anni tremendi. Chi comandò quella fine? Fu un vero incidente? O fu un’esecuzione badogliana? Ma un ‘pizzino’ ambiguo di Badoglio voleva proprio questo esito doloroso.
E’ un passato lontano. Ora da ricordare. Per fissare, in un attimo, i doveri appassionati e dolorosi degli italiani di quel tempo.
Ettore Muti era un soldato. Un audace pilota italiano. Sul suo petto luccicava il medagliere più prestigioso dell’aviazione nazionale. Tante le dimostrazioni della sua storia: Ordine militare Savoia, dieci medaglie d’argento, quattro di bronzo, cinque croci di guerra, due croci di guerra tedesche, e due medaglie d’oro.
Quella guerra era pazzesca. Ma lui l’affrontò. Con lo spirito, da lui già provato, del legionario fiumano. Con il sorriso italiano strafottente che voleva dire: E adesso vi faccio vedere io!
Ettore Muti, una vittima. Perché rappresentava un’ Italia fatta male ma in cui lui aveva creduto. Perché non avrebbe compreso l’ armistizio del 8 settembre 1943 per il quale atto si abbandonavano i soldati, le armi e le bandiere. Perché non avrebbe concepito un sovrano che scappa e non difende la sua capitale.
Quella un’ Italia triste e ingenua. Che, tuttavia, era la madre di uomini come Muti stanchi di bombardare – e ciò Ettore lo scrisse in una lettera -, uomini stanchi della corruzione dei gerarchi; ecco che lo vollero segretario del Pnf per presentar così un volto italiano pulito e coraggioso.
Se i fascisti repubblicani non gli avessero dedicato un reparto, forse oggi avremmo qualche caserma dedicata a lui. Forse avremmo qualche ricordo in più di un aviatore valoroso, di un uomo assassinato perché era diventato un simbolo nazionale.
Caduto Mussolini, in un pomeriggio d’estate, Roma era nel caos. I simboli del fascismo venivano distrutti. E una macchina fu bloccata. Dentro c’era Ettore Muti che in quel momento pensò di essere linciato da quella folla che gioiva per la caduta del fascismo. Ma nessuno pestò il colonnello Muti. In molti lo abbracciarono. E lo lasciarono passare.
I simboli vanno distrutti. Non devono essere mica processati… E lo sapeva bene il bieco antifascismo badogliano. Ettore Muti non poteva mai essere processato. Lui era solo un soldato leale. Solo un soldato che aveva risposto alla chiamata.
Il suo assassinio oggi dice molto. In lui si colpiva un uomo senza una diretta responsabilità. Si colpiva chi si era solamente schierato nel marasma terribile della storia. Il suo assassinio dice l’inizio della guerra civile. Iniziava la guerra fratricida; iniziava quella guerra che non guardava negli occhi puliti di alcuni soldati; e iniziava con un colpo di mitra badogliano nel mese di agosto del 1943.