Sono convinto che così come accade oramai da tempo nella cosiddetta epoca della globalizzazione, anche quest’anno, in termini di riti e tempi liturgici, sia la televisione che la carta stampata – salvo qualche rara eccezione – riserveranno al Mercoledì delle Ceneri pochissima o nessuna attenzione. Il 2 marzo passerà quasi inosservato, al contrario di quello che accadrà con riferimento al giorno prima, ossia, il 1° marzo, Martedì Grasso, che rappresenta la coda o la fine del Carnevale “laico” (forse non tutti sanno che il termine «carnevale» corrisponde a un’antica disposizione ecclesiastica, discendendo dal latino carnem levare, ossia, «eliminare la carne», così come «Martedì grasso» sta a significare l’ultimo giorno di carnevale, appunto, in cui si può mangiare “di grasso”).
Tutto lecito o quantomeno comprensibile? Per noi cristiani e credenti non può esserlo, per il semplice motivo che liturgicamente questa giornata rappresenta l’inizio della Quaresima, il “tempo forte” per eccellenza della conversione e del ritorno a Dio.
Com’è noto, con l’espressione Mercoledì o Giorno delle Ceneri oppure, più semplicemente, Le Ceneri s’intende il Mercoledì precedente la prima Domenica di Quaresima. Tale occorrenza per i cattolici di “rito romano” (per distinguerli dai cattolici di “rito ambrosiano”) e per alcune comunità riformate, ossia, di dottrina calvinista, va a coincidere con l’inizio stesso della Quaresima e, di conseguenza, con il primo giorno del periodo “liturgico forte”, a livello tanto battesimale quanto penitenziale, in preparazione della Pasqua cristiana.
Cosicché, l’origine di tale importantissima giornata liturgica discende dall’antica prassi penitenziale. Da notare come, in origine, il sacramento della penitenza non fosse celebrato secondo le modalità odierne. Difatti, come sottolinea il famoso liturgista, monaco benedettino, Pelagio Visentin (1917-1997) – protagonista del rinnovamento liturgico avviato dal Concilio Vaticano II – l’evoluzione della disciplina penitenziale è triplice:
«da una celebrazione pubblica ad una celebrazione privata; da una riconciliazione con la Chiesa, concessa una sola volta, ad una celebrazione frequente del sacramento, intesa come auto-rimedio nella vita del penitente; da una espiazione, previa all’assoluzione, prolungata e rigorosa, ad una soddisfazione, successiva all’assoluzione».
Quindi, la celebrazione delle Ceneri nasce a motivo della celebrazione pubblica della penitenza, andando a costituire il rito che dava il via appunto al cammino di penitenza dei fedeli, per poi successivamente essere assolti dai loro peccati la mattina del Giovedì Santo. D’altronde, occorre non dimenticare come per la teologia biblica la cenere simboleggi la dimensione precaria dell’uomo. Tale condizione di fragilità e debolezza umana, con riferimento appunto alla cenere, la si ritrova in vari passi della Bibbia. Nella Genesi, rivolgendosi a Dio, Abramo dice: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere…» (Gen 18: 27). Nel rilevare un senso di profonda prostrazione messo di fronte alla sua finitudine, Giobbe afferma: «Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere» (Gb 30: 19). Nel Libro della Sapienza viene detto: «Il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore. / Una volta spentasi questa, il corpo diventerà cenere e lo spirito si dissiperà come aria leggera» (Sap 2: 3-4). Per finire, nel Libro del Siracide, allorquando si parla dell’«Invito alla penitenza» e della grande misericordia di Dio che perdona tutti coloro che a Lui si convertono, si dice: «Esso sorveglia le schiere dell’alto cielo, ma gli uomini sono tutti terra e cenere» (Sir 17: 27).
La cenere, tuttavia, è anche il segno esterno dell’uomo che si pente delle proprie azioni malvagie e sceglie d’intraprendere un cammino verso il Signore. A tale riguardo, può essere citato il noto passo biblico del Libro di Giuditta, con l’invito all’intero popolo israelita a fare penitenza per far sì che Dio intervenisse a liberarlo:
«Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore». (Gdt 4: 11)
Va da sé che, secondo la teologia biblica, l’uso delle ceneri contiene in sé un duplice significato, che si esplicita nelle note “formule” d’imposizione: l’antica, strettamente legata al gesto di versare le ceneri, «Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai» e la nuova, che meglio esprime l’aspetto positivo della Quaresima avente il suo inizio proprio con tale celebrazione, «Convertitevi, e credete al Vangelo».
Ritroviamo tale duplice concetto bene espresso in queste parole che Sua Santità Benedetto XVI pronunciò il 9 marzo 2011 in occasione dell’Udienza generale per il Mercoledì delle Ceneri di quell’anno:
«La cenere benedetta imposta sul nostro capo è un segno che ci ricorda la nostra condizione di creature, ci invita alla penitenza e ad intensificare l’impegno di conversione per seguire sempre di più il Signore».