Il Caso talvolta é più perfido degli Uomini.
I 75 anni dalla fondazione del Movimento sociale (fondato a dicembre del 1946) sono arrivati mentre si consumava lo spettacolo della elezione del presidente della Repubblica: teatro dell’assurdo? commedia dell’arte? tragedia? avanspettacolo? opera dei pupi? farsa? gioco di ruolo? pochade? sceneggiata? commedia? oppure soltanto dramma storico?
Abbiamo assistito al fallimento (1) dei partiti, divenuti ormai tempio supremo della incapacità, della inaffidabilità e della non rappresentatività del corpo vivo della Nazione, i cittadini-elettori.
Abbiamo preso atto che questa politica resta commissariata a vantaggio di una oligarchia tecnocratica che fonda la propria illegittima egemonia non sul consenso ma sui gruppi di potere senza volto che affollano l’Unione europea e non solo.
Abbiamo capito che il ricorso al voto continua ad essere rinviato per non disturbare chi ci comanda.
Abbiamo poi registrato la fine del centrodestra, un’alleanza che da politica era diventata solo elettorale e che per la verità portava da sempre dentro di sé l’equivoco mai chiarito tra chi, moderato, concepisce i sovranisti solamente come portatori di voti e chi, sovranista, smania spasmodicamente per farsi accettare a qualunque costo nei salotti buoni della politica.
E gli italiani? Fuori dai giochi, fuori dal Palazzo.
Quello che è avvenuto è una pagina di Storia contemporanea che nessun libro di fantapolitica aveva potuto prevedere. Gli storici futuri lo racconteranno per quello che è: il Titanic della partitocrazia italiana.
E’ collassata la democrazia-parlamentare e, insieme, è fallita la “marcia verso il centro” intrapresa dalla destra (2).
Per capirlo fino in fondo ci soccorre proprio il 75mo anniversario di una forza politica che sin dal suo primo documento (il Decalogo) e per tutta la sua esistenza non si stancò mai di predicare e di motivare, non solo politicamente ma culturalmente e giuridicamente, una radicale riforma della Costituzione che coinvolgesse il Paese reale con la elezione diretta del Capo dello Stato.
A dire più o meno le stesse cose sin dalla Costituente (prima quindi della fondazione del Msi) si levarono le autorevoli voci di Valiani, Mortati, Codacci Pisanelli, Orlando, Bozzi e Calamandrei (3) ma anche negli anni successivi quelle di Maranini, Pacciardi, De Stefanis, Crisafulli, Ciccardini, Giannini, Miglio, Craxi, Labriola, Baldassarre e tanti altri ancora.
Fare ricorso alla volontà popolare era ed è un altissimo atto di democrazia praticata, e non solo proclamata, che non scavalca la legittimità dell’azione dei partiti fondata peraltro su un voto di tutt’altro tipo, politico.
Ma era ed è anche un modo, costituzionalmente ineccepibile, per “far presto”, cioè per evitare la pratica mortifera dei compromessi, delle trappole, degli agguati, delle pugnalate alle spalle, delle impasses imposte dalle giravolte, in un parola dei trasformismi dei quali in effetti sarebbe stata costellata gran parte della nostra vita politica con il conseguente progressivo logoramento della politica senza la P maiuscola.
Non una furbesca e sterile scorciatoia insomma, ma un adeguamento effettivo alla velocità odierna dei tempi decisionali con cui gestire meglio e meglio risolvere le molteplici e crescenti problematiche che arrivano sul tavolo di chi comanda.
Ma questa proposta missina era anche il primo passo di una organica riforma della Carta costituzionale di cui non soltanto il Movimento sociale italiano avvertiva la necessità.
Montanelli, il moderato Montanelli, il conservatore Montanelli, il liberale Montanelli scrisse un editoriale che fu ad un tempo l’epitaffio del Sistema ma anche un urlo a cambiare tutto pur di salvare l’Italia (4).
Quella che si auspicava era (e sarebbe ancor oggi) una riforma organica del Sistema fondata sull’elezione popolare del Capo dello Stato e sull’inserimento nel Parlamento, al fianco dei partiti, delle competenze tecniche assicurate dai rappresentanti delle categorie, dei mestieri, delle professioni, insomma della produzione e dai prescelti del mondo dei saperi, arte, scienza, cultura. Insomma tutto quel bagaglio di capacità e di esperienze che la democrazia-parlamentare non potrà mai garantire e infatti non ha mai garantito.
Selezioni dal basso e non nomine dall’alto, ovviamente.
In poche parole si chiedeva di riformare il Sistema prendendone di petto la fisionomia istituzionale.
E oggi che la necessità assoluta di una riforma (quantomeno) del modo di elezione del Capo dello Stato è diventata tema non teorico né dilazionabile ma concreto e urgente di qualunque politica nuova, il confronto con chi, con lungimiranza innegabile, sollevò queste questioni e avanzò queste proposte innovative diventa quantomeno opportuno, meglio: necessario. Basta leggere la Relazione d’accompagnamento del ddl 703 presentata durante la 17ma Legislatura per rendersi conto del fruttuoso cammino fatto su queste tematiche dalle sensibilità più riformatrici della politica nazionale.
E’ un cammino da riprendere e da concludere.
L’alternativa a una grande iniziativa riformatrice come questa è il “declino senza cambiamento” (5).
L’occasione oggi c’è tutta. Chi di dovere la colga.
Ma chi di dovere colga anche ciò che insegna l’altro fallimento: la sterile rincorsa della destra all’ambiguo e scivoloso moderatismo dei centristi.
Per capire chi sono “i moderati” basterebbe rileggere Abel Bonnard e farne tesoro.
I rappresentanti di questi “moderati” sono oggi gli artefici principali di quel che è avvenuto e del “come” è avvenuto. Ci hanno messo la firma.
Ora si accingono a veleggiare verso il Grande Centro, verso questo Mar dei Sargassi della politica nostrana nel quale da anni trovano posto, aggrovigliati gli uni sugli altri, tutti i rottami degli equivoci, dei trasformismi e dei fallimenti della Nuova Italietta.
Sia chiaro: questi “moderati” non sono traditori. Tradire è un atto legato alla morale. E se la Morale non appartiene alla Politica, figuriamoci se la Morale appartiene al Trasformismo, il cui Tempio è da sempre assiduamente frequentato appunto da moderati, centristi e liberal-conservatori.
Questi moderati sono parte essenziale di un Sistema che non può essere ridotto a sola ingegneria costituzionale ma è soprattutto un modo, uno stile, una grande melassa nella quale banche, media, partiti, multinazionali, Episcopato modernista, finanza mondiale, ong, think-thank, Servizi segreti deviati, Club esclusivi gonfi di capitali e senza bandiere tirano le fila del mondo e quindi anche della nostra malconcia Penisola. Questi moderati parlano lo stesso linguaggio degli altri. Hanno in mente gli stessi modelli degli altri. Seguono gli stessi codici comportamentali, gli stessi riflessi pavloviani, gli stessi tabù. Solo con gli altri sono a loro agio.
Per il Quirinale questi moderati hanno semplicemente esercitato il diritto-dovere di cambiare strada in barba agli accordi presi con una destra che non serviva più.
A questi moderati non importava dove avrebbe portato la strada nuova. Né con chi sarebbe stata percorsa. L’importante era che a intraprenderla si fosse comunque in tanti, e pure appassionatamente.
La coerenza? Che c’entra la coerenza? Roba fuori moda, ci hanno detto.
Per tutti, traditori e traditi, c’entra invece la spasmodica necessità di essere gente di Governo a qualunque costo, frequentatori entusiasti, ancorchè non à la page, delle stanze dei bottoni nella illusione di essere disinvolti (magari più degli altri) nel maneggiare le leve del potere. Obiettivo: per i traditi non essere più i paria di questa Repubblica che peraltro non li ha mai chiamati “figli”; per i traditori restare a galla abbarbicati a qualunque ciambella di salvataggio che passa.
E il popolo? il Paese reale? la società civile?
Alla finestra, ad assistere allo spettacolo.
La società civile è da parecchio tempo aggredita da una progressiva radicalizzazione dei problemi, in particolare di quelli sociali, e da un progressivo malfunzionamento della macchina istituzionale preposta a risolverli. E’ una fase tutt’altro che prossima a chiudersi.
Per fronteggiarla occorrono coraggiose misure radicali, non già misure moderate, pannicelli caldi, insipida acqua calda.
Sul fronte sociale e su quello istituzionale occorre fare scelte parimenti forti, organiche, che abbiano come obiettivo il bene supremo del nostro Paese e non il tornaconto di quei gruppi di potere. Occorre un colpo d’ala che può venire solo da una risposta all’altezza delle domande drammatiche che salgono ogni giorno dalla società civile.
E’ qui, su questa nuova identificazione tra Paese legale e Paese reale che si gioca il futuro prossimo e che può scaturire la grande novità politica che tutti cercano e che nessuno trova in questo Sistema bloccato e logoro.
E’ roba da moderati, da liberali, da conservatori? C’è davvero chi crede che da costoro possano pervenire le giuste risposte alla crisi istituzionale e a quella sociale?
Le risposte giuste non stanno da quelle parti.
Stanno altrove.
Stanno nelle radici ideali che quel partito non rescisse mai, stanno proprio in quella coerenza che consentì a quel partito “fuori della Storia” di durare mezzo secolo contro tutto e contro tutti e di seminare idee, di elaborare tesi, di creare suggestioni ideali e programmatiche, di contare nel Palazzo perché contava nel Paese.
Senza mai restaurare e senza mai rinnegare.
Oggi é il tempo delle idee e delle proposte che scaturiscono da quella Storia onorevole e affidabile senza la quale nessuno, ma proprio nessuno, starebbe dove oggi sta.
Occorre darsi coraggio e innalzare l’Identità come una bandiera. Senza ascoltare le sirene di chi ti consiglia di continuare sulla strada franata.
E’ ora di cambiarla, quella strada.
E’ ora di fare opposizione. E di essere alternativa.
Per abbonarsi a Nova Historica
Bravo, perfetto Magliaro, leggendoti stamane mi hai dato una vampata di orgoglio antico.
Mi ricordo di Pacciardi e della sua lunga campagna a favore di una Repubblica Presidenziale, realtà praticamente inesistente in Europa, salvo il semipresidenzialismo francese e, forse, non ho controllato, rumeno. Ma con questi partiti non mi pare abbia senso volere una repubblica presidenziale. Il bipolarismo della cosiddetta Seconda Repubblica degli anni ’90, a parte le leggi elettorali maggioritarie, è praticamente naufragato, travolto dall’italico particolarismo. Lasciamo la Legge Elettorale maggioritaria, tanto per evitarci maggioranze pentapartito ecc. Il Presidenzialismo nelle mani di un demagogo farebbe ancor più danni che l’attuale Repubblica Parlamentare. Da riformare la Costituzione, questo sì, tagliare numero parlamentari ecc. ecc.