
Molto rumore per nulla. Le tragicomiche vicende quirinalizie dell’ultima settimana, con l’opera shakespeariana condividono ben più del titolo. Le parole del messaggero che, nel prologo, alla domanda su quali perdite abbiano subito gli uomini di Don Pedro, risponde: “Poche in complesso, direi, e nessuna di uomini di massimo rilievo” e la replica di Lonato “ È due volte vittoria, quando chi vince si riporta a casa quasi del tutto intatte le sue forze”, fanno pensare a Enrico Letta, il quale, nella campagna per il Quirinale, ha messo a segno non due, ma tre vittorie. La prima, forse quella politicamente meno significativa, consiste nell’essere riuscito, pur non avendo i numeri, a far (ri) eleggere una figura espressione del Pd. La seconda, più emblematica, nell’essere riuscito a far passere l’idea che il centro-destra non abbia al suo interno, ma neppure nelle vicinanze, personalità dotate dell’autorevolezza necessaria per poter ambire a rappresentare il vertice dello Stato. La terza, nell’essere riuscito a dimostrare che il centro-destra è solo una sommatoria di sigle senza rotta e strategia.
Una volta annichiliti gli avversari, Letta può concentrare le sue energie sulle prossime scadenze elettorali, con la consapevolezza di avere in Matteo Salvini il migliore alleato. Il leader della Lega che, come il Cimabue di Carosello, “fa una cosa e ne sbaglia due”, è riuscito ancora una volta a compiere un capolavoro di autolesionismo. Dopo aver rimesso in pista il Pd, spingendogli tra le braccia i 5 stelle, Salvini ha voluto giocare la carta del ‘lider maximo’ della coalizione, predicando ai quattro venti la necessità di portare al Quirinale un presidente di centro-destra. Com’è andata a finire è sotto gli occhi di tutti. Non solo non è riuscito ad andare a dama, ma ha mandato in frantumi la coalizione, per eleggere chi? Sergio Mattarella, ovvero l’uomo che aveva più volte accusato d’intelligenza col nemico, all’epoca del “niet” alla nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia durante il lungo travaglio del governo gialloverde
Una posizione, quella del “Capitano”, condivisa dai vecchi alleati del M5s che, nel ruolo di ruota di scorta del Pd, dopo aver invocato l’impeachment per i veti posti alla nascita del “governo del cambiamento”, si sono prodigati a ringraziare Mattarella per il “sacrificio”, quasi debba trascorrere i prossimi anni di guardia sul Don e non tra i solenni arazzi del Quirinale.
Tra le fila degli entusiasti fautori del Mattarella bis non poteva mancare Forza Italia. Gli azzurri, dopo aver finto di coltivare la speranza di mandare Berlusconi al Quirinale, hanno fatto quello che negli ultimi due lustri gli viene meglio: accordarsi con il Pd. Come i protagonisti dell’opera di Shakespeare, i vertici di Forza Italia si sono cimentati nell’arte dell’inganno, pur di darsi una centralità che gli elettori non gli riconoscono da anni.
In una vicenda, francamente surreale, in cui la politica più che la solennità del “Gattopardo”, ha ricordato la banalità del Gioco dell’oca, l’unica certezza per il Paese è che per la coerenza occorre guardare in fondo a destra, dove Fratelli d’Italia continua, con fiero cimento, a rappresentare l’unica alternativa al sistema.
Alla luce dei fatti, per la destra è arrivato il momento di “non aver paura d’aver coraggio”.
Giunta alle porte di Mordor, la Meloni ha ora il dovere di compiere lo scatto decisivo per assumere la guida, non di una coalizione, ma dell’intero popolo del centro-destra che ne ha le tasche piene di soldati imbelli e generali felloni.