Il Novecento filosofico italiano non è stato espressione di marginalità e provincialità speculativa. Al contrario! Se la nostra tradizione filosofica, nel secolo XX, ha svolto un ruolo di primo piano, lo si deve, tra gli altri, al magistero di Giovanni Gentile. La crucialità della sua lezione teoretica, per la critica più accorta, è fatto acclarato. Ciò che viene ancora discusso e stigmatizzato negativamente nell’esperienza esistenziale del pensatore di Castelvetrano è, naturalmente, la sua adesione al fascismo. E’, da poco, nelle librerie un volume che può far chiarezza a riguardo. Ci riferiamo alle silloge di scritti di Gentile, Patria, Nazione, Fascismo. Scritti di politica (pp. 570, euro 28,00), edito da Mursia e curato da Hervé A. Cavallera, docente emerito dell’Università del Salento, cui si deve la pubblicazione delle Opere Complete del filosofo attualista.
Quattro sezioni
Il volume è costituito di quattro sezioni che raggruppano saggi e scritti prodotti da Gentile in epoche diverse e che, soprattutto, presentano e discutono disparati aspetti della sua filosofia politica e del diritto. Opportunamente, il dotto curatore, ricorda nella Premessa che, al fine di dirimere la questione dei rapporti Gentile-fascismo, è indispensabile tenere in debito conto le opposte esegesi prodotte in tema da Augusto Del Noce e da Gennaro Sasso. Il filosofo cattolico sostenne che l’adesione al regime di Mussolini avvenne in Gentile in perfetta coerenza con la filosofia dell’atto puro: «C’è in lui una completa inscindibile unità del filosofo e del riformatore religioso e politico» (p. 6). Meglio, l’attualista si sentì l’ultimo dei riformatori religioso-politici italiani, ponendosi in sequela tanto della tradizione rinascimentale bruniana, quanto della tradizione risorgimentale incarnata da Gioberti. I due filosofi ebbero una posizione “ambigui” nei confronti del cattolicesimo, Bruno fu decisamente critico. Per Del Noce, Gentile avrebbe portato ad estrema coerenza l’immanentismo, condividendo, su tale aspetto, la posizione ermeneutica di Emanuele Severino. Il filosofo neoeleatico lesse l’attualismo quale momento estremo della civiltà della tecnica, in cui si manifestava il tramonto della tradizione filosofica occidentale, centrata sul primato del divenire.
Il rapporto con il fascismo
Al contrario, Sasso, ritenne l’attualismo estraneo alla tradizione della “destra” politica italiana ed europea, per la qual cosa: «qui si è sostenuto che la via che Gentile percorse fu filosofica […] nelle parole […] ma nelle cose fu politica, passionale, storiografica» (p. 8). L’adesione al fascismo, non risulta essere stata necessaria, dedotta dal sistema dell’atto puro, ma dettata da un confronto serrato con il presente. Cavallera sintetizza le diverse interpretazioni date al problema: «E’ possibile sostenere che se è pur vero che Gentile decise di aderire la fascismo, è altrettanto vero che la sua filosofia consentiva che la decisione non fosse contrastante con quanto egli aveva elaborato» (p. 9) sul piano teoretico. In particolare, al fine di comprendere la posizione gentiliana, è necessario richiamare le tesi sostenute da Ugo Spirito al Convegno dedicato al pensatore siciliano del 1975. Spirito rilevò che, fin dal 1919, l’attualista riteneva la spiritualizzazione del reale il compito supremo del filosofare. In Gentile: «c’è soprattutto la coscienza dell’inizio di un’altra vita, che dà […] la gioia di una missione da svolgere […] che si ricollega alla tradizione del Risorgimento, ma che vuole andare al di là, per un’Italia che dalla vittoria ha tratto l’energia necessaria verso una più alta affermazione» (p. 10).
Lo Stato
Alla luce di tale dichiarazione, si comprendono le ragioni per le quali il pensatore siciliano avrebbe voluto costruire: «un fascismo di più alto livello» (p. 10). Il filosofo vide la possibilità di “forgiare” dall’interno il fascismo, senza dover rinunciare alla propria autonomia intellettuale. Nelle sue opere, lo comprese Spirito, dimensione politica ed etica coincidevano. L’etica attualista si risolve, infatti, nella pedagogia e viceversa: «La mia azione può essere buona soltanto quando cessi di essere l’azione del mio io empirico […] e diventi l’azione del mio più profondo io» (p. 12): una conquista lungo la via dell’autoeducazione, processo aperto, in fieri, lungo il quale l’io incontra il noi della tradizione nazionale: «La nazione si, veramente, non è geografia e non è storia: è programma, è missione. E perciò è sacrificio. E non è, né sarà mai fatto compiuto» (p. 209). Per questa ragione, lo Stato etico non può essere coercitivo, in quanto svolge funzione unificatrice: «La volontà legittima dei cittadini è quella che coincide con la volontà dello Stato che si organizza e si manifesta per mezzo dei suoi organi centrali» (p. 217).
Il mondo morale, come si evince dal Sistema di logica: «non potrà essere instaurato se non continuamente superando le barriere poste dal mondo naturale» (p. 13), chiosa Cavallera. Ecco, allora, la volontà dell’io tendere alla libertà e ovunque incontri il medesimo intento, prodigarsi perché nasca una sola volontà che, ponendo il diritto, faccia sorgere: «lo Stato in un divenire perenne» (p. 14). Gentile con il suo interventismo culturale, spendendosi per la riforma del sistema scolastico, realizzando l’Enciclopedia italiana e un numero cospicuo di Istituti culturali di assoluto prestigio, a tanto attese. Rimase fedele a tale compito durante la tragedia della guerra civile, pagando con la vita. Sintonizzò, in ogni circostanza, memore dell’insegnamento mazziniano, pensiero e azione, facendo sì che il primato del noi si realizzasse a scapito dell’ego, del dominio dell’homo oeconomicus.
Portare a compimento il Risorgimento
All’esplodere del Primo conflitto non si era schierato per la “neutralità” filosofica di Croce, ma aveva visto nella guerra la possibilità di portare a compimento il Risorgimento, quale Riforma morale-religiosa del popolo italiano. La vittoria dopo la disfatta di Caporetto non poteva bastare: «Occorreva […] rieducare dalle fondamenta la nazione e dare a tutto un significato etico» (p. 19). Tale l’opportunità, scorse nel fascismo nascente. La Carta del Lavoro, nel 1927, sembrò confermare la sua intuizione. Lo delusero le leggi razziali, i Patti Lateranensi e la sconfitta, al convegno di Ferrara nel 1932, delle tesi corporative di Spirito e Volpicelli. Nonostante ciò, decise, per coerenza ideale, di aderire alla RSI.
Nella realtà attuale, nella società digitalizzata della post-modernità liquida, gli scritti politici di Gentile mantengono una straordinaria attualità. La politica quale riforma morale-religiosa della presente “dismisura” è un dovere, una necessità impellente.