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Un libro coinvolgente, duro, come ogni “romanzo romanzo” che Georges Simenon scriveva e così definiva i suoi scritti meditati e costruiti con intenti letterari. Finito di scrivere nel dicembre del 1936 in Tirolo, I superstiti del Télemaque pur non essendo un giallo, non manca di colpi di scena e ripercorre alcuni degli schemi maggiori della narrativa dello scrittore belga. I personaggi sembrano scolpiti dai fatti della vita, quella che ha sempre descritto Simenon, e in questo caso disegnano una tragedia inedita: due giovani gemelli segnati dalla morte drammatica del proprio padre, forse vittima di cannibalismo, una madre divenuta folle e un omicidio feroce. Una miscela potente dalla quale si dipana una storia ambientata nella provincia normanna, fra pescherecci, battute di pesca, cittadine avvolte nella nebbia che si affacciano sul mare battute dalla fredda pioggia. Accade un delitto e viene incolpato uno dei due gemelli, Pierre Canut, capopesca, arrestato quando il peschereccio “Centaure” attracca al porto di Fécamp. Il fratello Charles, di temperamento timido, introverso, sfodera tutta la sua forza per dimostrare l’innocenza del fratello. E lo fa mettendosi subito a indagare. Una trasformazione caratteriale descritta da Simenon con una forza profonda.
Un vecchio ex marinaio, Emile Février, è la vittima e viene trovato ucciso in casa a Fécamp. Dall’abitazione mancano denaro e documenti e i sospetti ricadono su Pierre Canut, perché in paese si ricordano del padre che morì durante il naufragio del Télémaque, al largo di Rio de Janeiro. Dopo alcune settimane fu trovata una barca, alla deriva, con quattro sopravvissuti dei sei componenti dell’equipaggio e a bordo il corpo senza vita del padre dei Canut, con strane ferite. I sopravvissuti furono sospettati di cannibalismo per poter sopravvivere essendo rimasti nella scialuppa senza viveri. La signora Canut accusò Février, uno dei superstiti, di essere l’omicida e cadde dapprima in depressione e in seguito fu vittima di scompensi mentali .
Ma i sospettati sono diversi e c’è un testamento che lascia aperte le congetture, i sospetti. Charles diffida degli avvocati ma non si considera un eroe, vuole salvare il fratello gemello, tutto muscoli e impeto, il cui arresto ha fatto scalpore nella cittadina lasciando increduli gli altri pescatori.
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Simenon descrive Charles, che lavora nella Ferrovia, come un antieroe, un debole che la spunterà, che vive una vita semplice, innamorato pazzamente della giovane Babette, la quale serve ai tavoli in un caffè, e aspetta un po’ di tranquillità per poter scambiare qualche parola con lei. Certo la storia della famiglia è un peso notevole per Charles che in seguito scoprirà cose che non sapeva del passato.
Il romanzo è un dramma psicologico che si svolge in un panorama molto caratterizzato dalle atmosfere normanne, fra fumo e umidità, con l’aria salmastra del mare, l’odore di aringhe alla griglia.
*Georges Simenon, I superstiti del Télémaque, Adelphi ed.; pagg. 187; euro 18