Lo scrittore Andrea G. Pinketts è morto nel dicembre di tre anni fa e di recente la sua Milano l’ha omaggiato con l’Ambrogino d’oro alla memoria. In queste settimane, tuttavia, c’è un altro tributo che ha cominciato a circolare nelle librerie italiane: non è una biografia, non è un volume di testimonianze, non è un’opera postuma del brillante autore milanese. È un romanzo di Gian Luca Campagna, che di Pinketts è stato amico e sodale e che tante volte l’ha invitato a Latina in occasione del festival letterario Giallo Latino, del quale Andrea era una specie di padrino ad honorem.
Intendiamoci, “Il teorema dei vagabondi pitagorici” (Mursia, 17 euro) non è un romanzo su Pinketts bensì uno sgangherato e originale “pastiche” difficile da inquadrare in un genere (un po’ giallo, un po’ storia d’amore e un po’ romanzo d’avventura, con una spruzzata di realismo magico sudamericano), all’interno del quale l’autore milanese è riconoscibilissimo coprotagonista con il nome di Pink, nei panni di uno scrittore malato terminale di cancro che in modo del tutto rocambolesco partecipa al massacrante rally Dakar nelle lande desertiche del Perù. A fargli compagnia, oltre a una galleria di bizzarre figure di contorno, emergono altri due personaggi a cavallo fra realtà e fantasia: il motociclista paraplegico Nicola Dutto, che nel 2019 ha effettivamente partecipato alla Dakar peruviana, e il detective argentino Josè Cavalcanti, già protagonista di altri due romanzi di Campagna (“Il profumo dell’ultimo tango” e “La scelta della pecora nera”).
Ma che ci fanno uno scrittore malato, un motociclista paraplegico e un detective dalla scorza dura e dal cuore tenero nel bel mezzo del deserto polveroso nel sud del Perù? La sinossi del romanzo recita: «José Cavalcanti, il detective più politicamente scorretto del Sud America, viene ingaggiato per scortare al rally della Dakar, nel deserto del Perù, il motociclista paraplegico Nicola Dutto, minacciato dal redivivo Quetzalcóatl, il sanguinario dio delle civiltà precolombiane. Cavalcanti accetta il caso per esaudire l’ultimo desiderio dello scrittore Pink, malato terminale: partecipare alla massacrante gara. Tra prostitute filosofe, chef astemi e piloti romantici, inizia una corsa pirotecnica dove il limite da superare non sta nell’impresa, ma nelle illusioni perdute dei protagonisti. In fondo, la terribile Dakar non assomiglia alla vita, con le sue corse, le sue soste e le sue storie di amore, amicizia e morte? Una narrazione visionaria, infarcita di ironia e di realismo magico, regala a queste pagine la velocità della grande avventura e le peregrinazioni epiche degli antichi eroi».
Campagna e il Sud America
Gian Luca Campagna, appassionato di Sud America e narrativa noir, si dimostra implacabile nel dipanare trame, scenari e soprattutto figure tipiche della letteratura del Cono Sur, area geografica e culturale che l’autore ha frequentato a lungo come lettore e viaggiatore. Questa volta miscelate in modo sapiente e leggero con la Milano “da bere” di Pink, con una malinconica Torino autunnale e con le Langhe cuneesi di Dutto, che fanno da preludio all’avventura peruviana. “Il teorema dei vagabondi pitagorici” è volutamente un romanzo dell’altrove, geografico e culturale, e Campagna maneggia con bravura una prosa ricca di riferimenti letterari, scoppiettante e immaginifica, che però non scade mai in barocchismi eccessivi.
Le avventure della singolare Armata Brancaleone di Cavalcanti, alla quale si aggiungono un cuoco esperto di cocktail, due dogo argentini, una prostituta intellettuale e dalle curve esplosive, un anziano procuratore calcistico, un manager senza scrupoli e persino un pinguino ventriloquo, sono in apparenza scanzonate ma in realtà diventano una parodia della vita, sballottata tra realtà e finzione e in bilico tra Eros e Thanatos.
Atmosfere alla Soriano
Leggendo il romanzo si sorride per i dialoghi surreali fra Cavalcanti e lo scrittore, ci si emoziona per l’impresa di Dutto che va al di là dello sport, si sogna per le descrizioni di luoghi desertici e assolati che sembrano venir fuori dalle pagine di Osvaldo Soriano, ci si commuove per il gran finale in cui emerge la figura ribelle e maestosa di Pink che gioca con la Morte in una riedizione folle e sudamericana del “Settimo sigillo” di Ingmar Bergman. Perché, come scrive Campagna nell’apertura del romanzo, «fatti, luoghi e personaggi citati un giorno si ribelleranno di esser spacciati per non genuini e frutto di mera casualità nella babilonia della vita. La storia del pilota Nicola Dutto, dello scrittore Pink e di Josè Cavalcanti alla Dakar 2019 è figlia di una promessa reale. Tutto il resto è realismo magico».