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La pubblicazione postuma dei Carnets rebelles di Dominique Venner (1935-2013), il cui primo volume è stato appena pubblicato dalla Nouvelle Librairie, è un grande evento editoriale per noi. 400 pagine che saranno seguite da migliaia di altre. Una somma, degna dell’uomo che era Dominique Venner.
ELEMENTS: Dominique Venner è autore di un’opera imponente, ma eravamo lontani dall’immaginare che contenesse ancora dei tesori inediti: questi Carnets rebelles, di cui lei pubblica il primo volume e a cui dedica un lunghissimo articolo nel nuovo numero di Éléments, accompagnato da foto anch’esse inedite… Da dove provengono?
FRANÇOIS BOUSQUET. Non osiamo parlare di una sorpresa divina, un’espressione ingannevole che sarebbe male interpretata. La scoperta di questi Carnets rebelles è, tuttavia, una sorpresa di questo genere. Dopo la sua morte, il 21 maggio 2013, Dominique Venner è diventato un mito politico, come dice Alain de Benoist. Ne ha le proprietà mobilitanti e unificatrici, almeno per coloro che non temono la sua solenne morte romana eseguita nella cattedrale di Notre-Dame-de-Paris. Per molti di noi, la menzione del suo nome è diventata addirittura performativa, come se la sua morte avesse virtù postume e funzionasse come un principio attivo. Ma come scrittore, aveva per così dire smesso di parlare, tranne che per rileggere i suoi libri, cosa che bisogna certamente fare. Tuttavia, il suo testamento politico e spirituale, un Samurai d’Occidente, un libro boreale, sembrava essere la sua ultima parola per sempre. Nulla ci impedisce di rileggerlo, al contrario, ma non possiamo più riscoprirlo.
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È come se la morte volontaria di Venner, attraverso la sua risonanza, avesse eclissato tutto, compresa la sua opera. Ormai, è lei che sta davanti a noi, è lei che ci chiama ad agire. Dal 21 maggio 2013, è l’eroe omerico, il soldato romano che si rivolge a noi, molto più dello scrittore. E adesso lo scrittore ci richiama; adesso ci consegna questi sorprendenti Quaderni – neri, ardenti ed eretici come il Cavaliere di Dürer, che lui amava tanto. Nessuno se li aspettava. Ironia della sorte, sono a loro modo una delle forme dell’inatteso nella storia (e di cui sappiamo quanto Venner fosse alla ricerca). Per un editore, una tale scoperta è un miracolo. Si lavora notte e giorno per poter pubblicare questo tipo di libro. Grazie a Clotilde Venner, la sua ultima moglie, e a Guillaume Venner, suo figlio, per averceli affidati.
ELEMENTS: Dominique Venner era un personaggio molto segreto. Rivela un angolo della sua anima in questi Carnets rebelles? Si confida con loro più del solito?
FRANÇOIS BOUSQUET. Confidarsi, sì, a volte. Ma questo non era lo stile della casa. Qui non troverete un confessionale. Venner era un cacciatore, non un pastore. Detto questo, svela parti poco conosciute della sua vita, con modestia e discrezione. Così le lacune della sua biografia sono in parte colmate. Nel corso delle pagine e dei Quaderni, prende forma un personaggio più esaustivo, più complesso, più ampio. Questo è sicuramente dovuto al genere adottato. Non ci sono vincoli di spazio o di forma (i Carnets contengono migliaia di pagine, e dieci volumi non saranno sufficienti per esaurire il materiale). Mai prima d’ora Venner ha detto così tanto di sé e della sua visione del mondo, senza mai diventare indiscreto. È lì come è in se stesso, prima di tutto un’etica di comportamento. Eppure, quando si parla di comportamento, si parla di moderazione. Mai lamentarsi, mai spiegare. I Quaderni non cambiano fondamentalmente questo stato d’animo, ma concedono all’autore una libertà postuma che i vivi non hanno, e per una buona ragione: la libertà dei morti.
ELEMENTS: Come si presenta l’insieme dei testi? Come un diario aggiornato giorno per giorno seguendo un filo cronologico? Perché li ha chiamati così?
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FRANÇOIS BOUSQUET. Non si tratta di un diario in senso stretto, come quello di Drieu, di Morand o oggi di Renaud Camus, anche se ci sono molte note che lo fanno sembrare un diario nel senso classico del termine. È piuttosto una sorta di making-of dell’opera, insieme a un autoritratto e a una cronaca dei tempi. Mentre lo leggevo e rileggevo, sono arrivato a credere che è un libro totale. Quando ha iniziato a scriverlo, Dominique Venner non sapeva certo dove lo avrebbero portato questi Carnets. Il primo di essi risale al 1973. Si tratta di una raccolta di citazioni, una sorta di vademecum, certamente prezioso, ma che non richiederebbe una pubblicazione postuma, se non in riviste dotte. Ci sarebbero voluti dieci anni per vedere il primo Carnet vero e proprio, nel 1982. Dopodiché, niente avrebbe fermato Venner. Un punto importante: i Carnets non sono stati scritti nella foga del momento, ma in retrospettiva, come memorie improvvisate. In tutto, ci sono una ventina di Quaderni di ricordi e una quindicina di Quaderni preparatori ai suoi libri, che possiamo supporre contengano tesori vista la loro densità, tra cui un sontuoso e riccamente illustrato Libro di caccia, che a tempo debito porrà problemi di diritti di riproduzione. La cosa affascinante dello sfogliare queste migliaia di pagine è lo sforzo che è costato all’autore. Sono convinto che Venner stesse combattendo una battaglia con l’angelo, se mi permettete questo diversivo biblico, una battaglia contro le forze della morte, della decadenza, dell’entropia. Per immaginare questo tipo di vita, bisogna sempre tenere a mente una delle parole di Solzhenitsyn, che vale tanto per Balzac quanto per Dostoevskij (e cento altri): “Per tutta la vita, ho corso come in una maratona”. Così con Venner. Nessun rallentamento; mobilitazione totale, per prendere in prestito il vocabolario di Jünger. Era spinto dall’imperativo dell’opera da scrivere, e vi dedicava tutte le sue ore. Per ottenere questa impressionante massa di testi. Perché siamo di fronte a un monumento del pensiero ribelle.
ELEMENTS: Questo è ciò che ti fa dire che un’opera si giudica anche pesandola…
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FRANÇOIS BOUSQUET. La pesatura delle anime, come si diceva nelle teologie del Giudizio Universale. È importante capire che non ci si può presentare a questo Giudizio Universale dell’arte, che è la posterità, con una manciata di libri o qualche quadro. In questo tribunale dell’arte, la profusione conta, la quantità spesso prevale. È questo che mi fa dire che un’opera, a partire da quella di Venner, che assume una dimensione tutta nuova con questi Carnets, si giudica pesandola, come nella boxe. Ci sono i pesi massimi e gli altri. Con questi Quaderni, Venner gioca più che mai nella categoria dei pesi massimi.
ELEMENTS: Si è colpiti nel vedere come la spina dorsale ideologica di Venner sia diventata chiara molto presto. Appena scoppiata la guerra d’Algeria, la sua visione del mondo è stata impostata…
FRANÇOIS BOUSQUET. Per parafrasare Péguy, il mondo appartiene a coloro che si alzano presto, prima del dodicesimo anno. Questo è il caso di Venner. Tutto è abbozzato, a grandi linee, quando ha dieci anni. In seguito, non potrà che svilupparsi e approfondirsi. Egli pone le grandi questioni del nostro tempo con mezzo secolo di anticipo. E perché? Perché è stato il primo a percepire i problemi di identità e civiltà che sarebbero entrati a far parte del dibattito pubblico solo nel XXI secolo, dopo l’11 settembre, nel nuovo spazio huntingtoniano che si è aperto. Questa consapevolezza risale alla sua scoperta delle popolazioni europee del Nord Africa durante la guerra d’Algeria. La frontiera che li separava dalle popolazioni indigene andava ben oltre lo status degli uni e degli altri, là i colonizzati, qui i colonizzatori. Non è una questione di status, ci dice Venner – lo status è reversibile –, è una questione di identità, che è intangibile. Ciò che separa gli europei dagli africani ha radici più profonde e antiche delle contingenze della storia. Hanno a che fare con la matrice etnica, religiosa e culturale di ogni identità. Nessuno voleva vedere questo all’epoca. Vedi il libro di Jean Birnbaum, Un silence religieux, pubblicato nel 2016, che evidenzia questo punto cieco. Non lo è stato per Dominique Venner. È stato il primo a capire che queste grandi questioni di civiltà sarebbero tornate come nel Medioevo, prima della nascita delle nazioni moderne.