La solitudine del poeta si specchia nel paesaggio estivo, lo induce a meditare sul destino mortale degli uomini, sulla vanità delle loro imprese. Così il poeta Antonio Machado in Soledades (1907) canta il paesaggio dell’Andalusia che è così simile a quello pugliese e medita con accenti che ricordano Pascal:
“Era una sera di luglio luminosa e polverosa.
Andavo per la mia strada,
nel solitario crepuscolo della campagna assorto.
E pensavo: bella sera, nota della lira immensa,
tutto sdegno e armonia; bella sera, tu allevi la povera malinconia
di questo angolo vano, oscuro angolo che pensa.
Sotto le luci del ponte scorreva l’acqua ondeggiante…
E gli ultimi rossori coronavano le colline
macchiate di ulivi grigi e di nerastre querce.
Camminavo annoiato, sentendo l’antica angoscia che fa il cuore pesante.
(…)
Che è questa goccia nel vento
che urla al mare: sono il mare?”
Questi ultimi due versi rimangono scolpiti nella mente e nel cuore, sembrano riassumere il mito greco di Fetonte, la saggezza dell’Ecclesiaste e la consapevolezza del moderno ecologista. L’uomo spesso si pone davanti alla natura vivente con un atteggiamento di superbia e di sfida, per il proprio tornaconto avvelena i mari, le terre, le falde freatiche, distrugge le foreste, ignora i limiti (anche quelli demografici) e poi si meraviglia dei disagi, delle malattie, della potenza distruttiva della natura…