L’uscita de L’operaio di Ernst Jünger, nel 1928, fu un evento epocale. Oltre a registrare il tracollo di un mondo – quello borghese –, annunciò l’aurora di un altro, sbocciato tra le trincee della Grande Guerra e nelle fucine delle industrie, a contatto con il chirurgico fulgore degli elementi scatenati. È l’era delle “battaglie di materiali”, della “mobilitazione totale”, dell’espansione planetaria della tecnica, i cui caratteri il nazional-bolscevico Ernst Niekisch colse con raro acume e impareggiabile intransigenza. «Meglio essere un delinquente che un borghese»: in queste parole, contenute nel capolavoro jüngeriano, è contenuta l’essenza dei due testi qui raccolti. Voci dall’abisso del mondo moderno, appelli alla Rivoluzione Ultima. (Il volume “Ernst Jünger. Abisso, decisione, rivoluzione” è curato dal giovane studioso Luca Siniscalco per Bietti)
Ecco due estratti del libro edito da Bietti
“Il “tipo” di cui trattiamo in questa sede è l’uomo dell’era tecnica; il suo volto si profilava già nei tratti duri e netti del soldato degli ultimi anni di guerra, tra i combattimenti di materiali e di macchine. Ciò che ha lasciato dietro di sé appartiene già oggi al paesaggio romantico; in quelle distese irreali è contenuto tutto il borghesismo. «No, il tedesco non è stato un buon borghese, ed è là dove è stato meno borghese che è stato più forte». Devono davvero essere a digiuno di conoscenze su se stessi, i tedeschi, per volersi imborghesire proprio ora! L’abito borghese comincia «ad apparire ridicolo, né più né meno dell’esercizio dei diritti civici, e in particolare del diritto di voto»; l’abito borghese, soprattutto, dà al tedesco «un aspetto infelice». Abbiamo scordato il lato comico che avvolgeva di una luce così insolita la serissima arringa di Hans Grimm a favore dell’“onore borghese”? Si capiva benissimo che ci si entusiasmava per una causa che, in verità, non riguardava l’uomo tedesco. Jünger è consapevole di tutte le conseguenze della posizione che assume: la tecnica implica un assalto contro tutte le appartenenze, comprese quelle che «il borghese, il cristiano e il nazionalista» considerano più naturali. Il fatto è che esiste un fronte della reazione, i cui sforzi per rinsaldarsi «fanno necessariamente lega con tutto ciò che vi è nel mondo di trito e ritrito e di polveroso: il romanticismo, il liberalismo, il conservatorismo, la Chiesa, la borghesia». E, aggiungiamolo, con l’idea di “ceto” (Stand). L’avvento dell’uomo che corrisponde al “tipo” è, dal suo canto, sempre meno compatibile con l’ordine dei vecchi giorni. Il «non-senso crescente delle domeniche e dei giorni festivi all’antica» appare sempre più evidente. Ascoltando «la penosa mistura di disgusto e tracotanza dei discorsi ufficiali pronunciati da governanti, patrioti e cristiani patentati, che non mancano mai di richiamarsi alla cultura», ci si chiede come «possa ancora essere possibile una simile vernice di inconsistente idealismo ricoperto da un velo di romanticismo»”.
*”Ernst Jünger. Abisso, decisione, rivoluzione”, di Ernst Niekisch, curato da Luca Siniscalco, è acquistabile qui dall’editore Bietti