Se n’è andato all’alba di un venerdì di agosto, in una Milano, se non deserta, già svuotata dalle imminenti ferie estive. Uno scenario infinitamente lontano dalle ambientazioni esotiche dei suoi romanzi di spionaggio e d’azione che per oltre trent’anni sono stati punto di riferimento di migliaia di lettori. Stefano Di Marino, sessant’anni compiuti da poco, laureato in giurisprudenza, era uno scrittore affermato e conosciuto ma è probabile che sui giornali non appariranno i consueti “coccodrilli” riservati agli intellettuali mainstream. Perché Di Marino era un autore di nicchia, anche se i suoi libri vendevano decine di migliaia di copie. Era un “artigiano” della parola scritta, un Salgari del XXI secolo, un creatore di storie d’avventura che non finiscono in vetrina e non vengono recensite sugli inserti culturali dei grandi quotidiani.
Nel corso di una carriera ultratrentennale Stefano Di Marino aveva scritto centinaia di romanzi. Sì, avete letto bene: centinaia. Non solo perché stiamo parlando di uno scrittore estremamente prolifico, ma perché su quelle pubblicazioni ci campava, era un freelance della letteratura e si guadagnava la pagnotta scrivendo e traducendo a getto continuo narrativa “di genere”, come ancora dicono quelli che hanno sempre la puzza sotto il naso. Spionaggio, action-thriller, gialli, fantasy, fantascienza. Ma anche decine e decine di saggi nei quali riversava la sua vasta cultura legata al mondo del pop e del pulp, basti citare i volumi sul cinema western, sulle arti marziali (che in gioventù aveva praticato per anni), sulla letteratura di spionaggio, sugli agenti segreti, sulle radici del giallo italiano.
Per decenni è stato una delle colonne della collana Segretissimo di Mondadori, che ogni anno pubblicava due o tre romanzi del suo personaggio più famoso, “il Professionista” (firmato con lo pseudonimo di Stephen Gunn), ma spesso è stato autore di punta anche del Giallo Mondadori, sei romanzi della serie Bas Salieri. Pubblicazioni da edicola, che non vanno in classifica pur vendendo molto più di tanti romanzi engagé. Persona colta e gentile, Stefano era solito girare tutta Italia per partecipare ai vari incontri letterari e festival gialli e noir, dove non mancava di mostrare al pubblico la sua autentica passione per questi generi narrativi e soprattutto l’amore per la scrittura, che lo assorbiva in maniera quasi totale.
Nei primi anni Novanta, su brillante intuizione di Andrea G. Pinketts (altro scrittore scomparso troppo presto), a Milano era nata la cosiddetta “Scuola dei duri”, che intendeva riproporre una lettura scerbanenchiana degli episodi di cronaca nera della metropoli lombarda, e Stefano Di Marino ne faceva parte a pieno titolo, insieme con Alan D. Altieri e Andrea Carlo Cappi. Anche se per molti dei suoi romanzi prediligeva gli scenari esotici, l’Africa e in particolare l’amato Estremo Oriente: Cina, Giappone, Thailandia, Filippine, Indonesia. L’ultima sua opera, uscita pochi giorni fa in edicola, è “Terra del fuoco”, 105ª avventura di Chance Renard detto Il Professionista, un romanzo ambientato in Malesia.
Nel presentarlo, Di Marino così scriveva sulla sua pagina Facebook: «Volevo omaggiare un libro e un film che apprezzai molto da ragazzo e che, ancora oggi restano per me una finestra su quell’Asia che ho amato moltissimo, un po’ indolente, sonnacchiosa, ricca di promesse sensuali. Ma non solo c’erano anche altre sfaccettature di quel sogno che volevo sviluppare. Così ho infilato in un unico calderone “Apocalypse Now”, i film cannibalici e una leggenda che trovai, in forma diversa, in un altro libro sulla seconda guerra mondiale nella giungla. E, ovviamente, alla fine del percorso Chance riuscirà a recuperare quella parte di se stesso che aveva perduto».