Il coraggio di uno sguardo limpido e disincantato sul mondo ha spesso un prezzo da pagare. Tanto più se anticonformismo ed eterodossia confluiscono in un progetto a vocazione comunitaria e a pro-vocazione antiindividualistica. Frutto di questa istanza è una raccolta di saggi in cui una cinquantina di autori, noti intellettuali – fra cui Adriano Fabris, Alberto Cesare Ambesi, Marcello Veneziani, Claudio Bonvecchio, Gianfranco de Turris, Miro Renzaglia, Marco Vannini, Antonio Saccoccio, Stefano Vaj, Pierfranco Bruni, Roberto Pazzi, Mariano Bizzarri, Raffaele Perrotta, Agostino Carrino e Massimo Donà – e giovani studiosi, si sono confrontati, secondo la propria formazione e sensibilità, con il tema “non avere paura di dire”. Il volume, dapprima edito in copie numerate quale libro d’arte, in seguito in versione ebook, si perita nella risposta all’ardua questione delineando quadri ermenutici alternativi entro cui tesi filosofiche, suggestioni tradizionaliste, scenari futuristi e tensioni rivoluzionarioconservatrici danzano lungo i crinali del nostro magmatico tempo, ricercando, talvolta, squarci sulla pura alterità.
Del significato e dell’esito del progetto abbiamo avuto l’occasione di parlare con Sandro Giovannini, poliedrico intellettuale, curatore della tavoletta nonché responsabile delle Edizioni Heliopolis, e con Roberto Guerra, poeta futurista ferrarese e curatore della versione ebook.
A distanza di alcuni mesi dalla pubblicazione della tavoletta Heliopolis e del più recente ebook, edito da La Carmelina, qual è il lascito, concreto e ideale, di quest’opera corale?
S.G.: C’è un dato autoreferenziale e uno oggettivo, tanto per essere sinceri. Quello autoreferenziale ci reperta un’idea ottima, un buon lavoro preparatorio e un onesto successo partecipativo in proporzione: circa 50 risultati di risposta tra circa 250 filosofi/artisti/metapolitici sollecitati… quello oggettivo posteriore ci dice di una scarsa sequela, certamente per nostra (vocazionale?) carenza, ma anche per la lateralità a tutte le mode, che è una sorta di cartina di tornasole feroce e quindi senza scampo…
R.G.: Le parole sono fatti, diceva Ionesco, in tal senso circa 50 antagonisti trasversali coinvolti, tutti a modo loro noti e autorevoli, hanno performato un raro florilegio controculturale in Italia oggettivamente rilevante. Tutti o quasi molto personal, un coro opera aperta, per dirla con Umberto Eco. Alla fine, senza filtri intellettuali retro, esperimento penalizzato dal taglio troppo conoscitivo, insoddisfacente (un eufemismo) per la casta culturale prevalente in Italia: sia per la casta radical chic di sinistra che per quella radical shock (nemica del veroprogresso, per dirla con Toffler e de Kerckhove) di destra.
La paura è l’emozione elementare più pervicace nel nichilistico interregnum entro cui noi postmoderni siamo gettati. Così, perlomeno, secondo Ernst Jünger. Da qui l’invito programmatico a non aver paura di dire, dibattuto secondo molteplici prospettive all’interno del volume. Vi è però anche un altro verso della medaglia: l’apatia massificata che induce a non temere più nulla e ad accettare supinamente ogni diktat imposto dai soloni delle “magnifiche sorti e progressive”. Può la paura, in questo caso, assumere una funzione costruttiva?
S.G.: La paura di dire può, tra le altre varie, ridurre a due postazioni primarie: mettersi sotto traccia, imboscati da varie fronde e mimetizzati da vari apparati letteralisti/tecnologici, cosa che sanno far benissimo molti dei nostri intellettuali, e sparare a tutto spiano dietro i fumogeni coi lanciarazzi, dove cojo cojo… come, ci si perdonerà (forse), sanno fare tanti altri… mantenere la lucidità estrema in tempi estremi ed il rigore in area di rigore, non sarebbe facile per nessuno. É vocazionale anche, quindi, oltre la carenza di cui sopra, contrarre la paura e l’apatia, due maschere dell’arte ben conosciute, anche con il non presumere pacifico in sé ciò che si pensa difetti in molti altri. Infatti in ogni nostro libro che abbia affrontato temi difficili o addirittura tabù, (tipo: “Per quale ragione Israele…?”), abbiamo non urlacchiato ma affrontato a viso scoperto…. Con qualche conseguenza, in tutti i sensi. Oggi la paura ha cambiato maschera, ma il volto è sempre quello.
R.G.: No, la paura è una pulsione primitiva, tribale, il virus di ogni Potere che sempre paralizza il vero progresso. Oggi Jünger non scriverebbe… ma costruirebbe il soldato drone lanciandolo secondo Necessità per liberare la Libertà (per dirla con Marx).
Una conclusione dedicata ai bibliofili. Quali sono i vostri progetti futuri, come rappresentanti di Heliopolis e La Carmelina?
R.G.: Da “soldatino di silicio”, Heliopolis è una sublime rugiada letteraria/tipografica destinata – nel suo gioco linguistico specifico e intenzionale (per dirla con D. Dennet) a molte altre Primavere.
Per la casa editrice ferrarese (a cura di Federico Felloni), attraverso la mia attività di co-curatore della collana N.0., con Sandro Giovannini, in un paio di anni sono già usciti relativamente molti lavori, tra ebook e cartacei. É una operazione underground… memi innestati, il futuro rivelerà certamente i suoi frutti, nonostante i tempi liquidi attuali in generale.
S.G.: La nostra prossima avventura editoriale, tavoletta pregiata Heliopolis e poi doppione e-book, magari di altra casa editrice (come già ben realizzato), per unire in un ossimoro (riservatezza/accessibilità) una sostanza che si fa forma (e viceversa), è il Khaled al-Asaad heliopolis (titolo provvisorio), che diviso in tre parti, un prima sceneggiatura mia, una seconda parte grafico/letteraria affidata ad artisti valenti, e una terza parte miscellanea o Appendice, con testi altri e afferenti di Autori Vari, note d’uso, etc., sarà un testo complesso e ben propositivo. Se un ottuagenario non ha avuto paura di testimoniare contro la follia feroce, architettata e sovvenzionata, e tanti altri combattano per ciò in cui credono invece di darsela a gambe, anche per noi precipita inesorabile la corresponsione piena, e direi impeccabile, alla nostra visione del mondo…