L’hanno stroncato tutti. L’ha stroncato la glamourissima Belen Rodriguez, l’ha stroncato il dottissimo Pietrangelo Buttafuoco, l’ha stroncato persino una pornostar esperta in pratiche Bsdm. L’ha stroncato anche il nostro Emanuele Mastrangelo. L’hanno stroncato tutti, così mi son deciso ad andarlo a vedere. Se sarò capace di farmi piacere “Cinquanta sfumature di grigio”, mi son detto, stavolta la faccio grossa. Altro che scoop: se riesco a dimostrare che questo film è apprezzabile anche per un pubblico maschile è la volta buona che mi fanno una statua. E sia come sia, per tutto ciò che è pop vale la legge – sempiterna – che ci cantarono gli Squallor: “Fenomeno di successo o fenomeno di cesso, ma sempre fenomeno era”.
Le primissime avvisaglie di quanto stava per accadere le ho avute poco prima dell’inizio della proiezione. Quando in sala ci sono troppi “occasionali” vuol dire che di solito il film – troppo carico d’attese e soprattutto se non si tratta di una commedia ridanciana – deluderà. C’erano tante ragazze, di tutte le età, in sala. Accompagnate da fidanzati, mariti, amici aspiranti alla mano e attendenti al pezzo. Tra maschietti ci si guardava di sottecchi, cercando un cenno di comprensione reciproco, implorando silenziosamente la solidarietà del prossimo. Come in sala d’attesa dal dottore, addà passà ‘a nuttata.
Finalmente cala il buio e parte il film. Ora, della trama non ne posso scrivere più di tanto per due ragioni. La prima: non mi è mai saltato in mente di leggere il malloppone in tre parti scritto dalla signora E.L. James e quindi non mi posso arrischiare a valutare il rispetto filologico tra libro e pellicola. La seconda: a insindacabile parere mio, quando riesci ad azzeccare tutte ma proprio tutte le mosse dei personaggi giungendo persino a divinare quando, durante il film, comincerà a piovere vuol dire che o sei giunto a spalancare il terzo occhio in un multisala di provincia senza rendertene nemmeno conto oppure che l’intreccio non regge per niente. Perciò decido stoicamente di praticare l’epoché e passo avanti.
Passiamo alle stelle. I due protagonisti sono Christian Grey, interpretato da Jamie Dornan e Anastasia Steel, incarnata da Dakota Johnson. Sono pure carini, presi singolarmente. In fondo stanno bene insieme. Però santo Buttafuoco teneva ragione: non c’è sugo, non c’è sugo.
Lui non riesce a sorridere, è tipo Mercoledì della famiglia Addams. Ha una storia complessa alle spalle, e figuriamoci. Ma va bene così. E’ il prototipo dell’uomo che non deve chiedere mai, lo stronzo, il fottuto capitalista bastardo che specula sui popoli e si lava la coscienza finanziando bolsi progetti umanitari in Africa. Dovrebbe essere un baby-boomer in un’epoca di crisi. E’ solo un figlio di papà, adottato però. Lui non fa l’amore, scopa forte. Le donne lo guardano trasognate, in sala. Ha un ghigno che gli sfigura il viso. Ha un che di folle, Grey. Ma di una pazzia bovina, più uno che ha passato un guaio che un raffinato dandy dedito consapevolmente ai piaceri proibiti. Non ha un briciolo d’ironia ergo zero fascino. Hannibal Lecter, lui sì che faceva le battute, seduceva le donne e aveva il fascino del male. Non aveva mica bisogno di elicotteri, lui.
Lei, la piccola e dolce Anastasia, invece è una chiagnazzara intrigante. Frangettona, all’inizio del film veste morigeratissima, guida un vecchissimo Maggiolone, frequenta un compagno d’università troppo sfigato per essere vero. Non ha la minima carica sessuale. Gli occhioni azzurri sempre carichi di lacrime, roba da far invidia a Barbara D’Urso, vogliono giustificare la pretesa iniziale su cui si basa l’architrave romantica dell’opera: la verginità della Steel. Quando lo dice, Anastasia, in sala non ci crede nessuno. Nè i maschi nè le femmine, soprattutto loro, tutte a malignare. Chi sbuffa, chi ride e chi sbadiglia. Ci crede solo mister Grey, tra le battutine femminili – irriferibili – dalla platea. La Steel incarnata dalla Johnson appare più volte nuda, cioè seno e sedere al vento. Ma sessualmente è afona. Non ha carica, in altri luoghi e in altre situazioni l’avrebbero bollata come la più classica delle fighe di legno. C’è un motivo, banalissimo, per cui la Steel – già odiatissima dalle fans della trilogia libresca – deve essere uno sfiatato tric-trac più che una bomba sexy: indurre le donne in sala ad identificarsi con lei. Missione impossibile, vai a capire perchè. Oltre ad essere sfiatata ha un altro difetto che, agli occhi di un uomo, è gravissimo: vuole parlare, vuole confrontarsi, vuole avere un dialogo. Cioè, a dirla tutta, s’è messa in testa di trasformare il tetro Grey in un docile agnellino da sottomettere con la forza dell’amore. Questa romantica e dolcissima battaglia, da un punto di vista maschile, è interessante quanto, da un punto di vista femminile, la giurisprudenza arbitrale sulle applicazioni varie ed eventuali della regola del fuorigioco passivo di rientro per il centravanti avversario.
Il film procede lento, esasperante al punto che ci speri davvero che prima o poi il buon Taylor, scagnozzo e autista dell’apprendista sadico Christian Grey, che parla poco, è fedele, efficace, efficiente e soprattutto si fa gli affari suoi nonostante una ghigna degna di un mafioso ceceno, inizi a sparare all’impazzata su un esercito di vietcong decisi a distruggere la democrazia Usa. Invece niente, troppo fedele per far di testa sua il buon Taylor.
E così, procedendo di clichè in cliché, saltellando gioiosamente da un luogo comune all’altro, si arriva alle attesissime scene di sesso. Ti aspetti chissà che dal perverso Grey. Fruste, catene: ha un arsenale che se lo vedesse Obama, altro che guerra preventiva.
Invece tutto resta in bacheca. Come già detto lei gli dice che è vergine e lui ci crede pure, nonostante i ripetuti consigli delle signore in sala. Quando fanno l’amore – anzi, quando scopano forte – lei, vergine scornosa, diventa maliarda ipersensibile. Sobbalza sempre, si sfibra in gridolini di piacere al minimo contatto. Se Christian Grey le sfiora le guance, Anastasia si contorce in una smorfia d’orgasmo. Lui, maniaco dell’auto controllo, perde la testa quando lei si mordicchia le labbra. E dopo averne gustato, per primo, le delizie proibite il “padrone”, “dominatore”, “sadico”, preteso anaffetivo e perverso confesso, lui subito le racconta tutti i fatti suoi. Manco fosse un nerd al primo appuntamento. La lega al letto con la cravatta, con la corda rossa, le fa il solletico con le piume di pavone, l’accarezza con uno scenografico scudiscio. Ogni tanto la sculaccia. Qualcuno su cravatte e sculacciate, tanto per vincere la noia, tirerebbe in mezzo Freud, il complesso di Edipo e altre banalità da caffè letterario. No, basta così.
La mia sfida l’ho persa, io mi dichiaro sconfitto. Questo film è trasgressivo quanto la recita del rosario in oratorio. Che peccato, volevo far arrabbiare tutti. E invece niente.Speriamo nel sequel, perchè ci sarà. State sereni, come dicono a Montecitorio.
Il problema di Cinquanta Sfumature è uno, gravissimo. Si fa davvero fatica a sospendere l’incredulità. E significa che, al netto di tutto, il film non è riuscito nel suo intento basilare, quello di trasportare lo spettatore nella storia che vuole raccontargli.
Se sei un uomo a vederlo ci sei andato (o ci andrai) perchè sei costretto dalle moine o dalle minacce della tua prepotente metà. Entri rassegnato e senza aspettarti nulla – forse la migliore delle condizioni per assistere alla proiezione di un qualsiasi spettacolo – ma esci con la libido sotto i tacchi.
Se sei donna a vederlo ci sei andata perchè sei curiosa. Magari hai letto il libro, anzi tutti e tre. Te li sarai scambiati con le amiche, ve li sarete regalati con sguardi complici d’intesa muliebre. Roba da gineceo, direbbero i maschilisti. Cose da donne, che voi ottusi non capirete mai, magari avrai già risposto tu. Entri eccitatissima ed esci delusa: tutto qui?