Gli affari storicamente collegati all’economia della criminalità organizzata sono tre: mercato della droga, delle armi e del sesso. E in Italia, fiorente, è proprio lo sfruttamento della prostituzione, campo in cui si cimentano praticamente tutte le consorterie criminali – nazionali o straniere – presenti sul nostro territorio. In alcuni casi la prostituzione è diventato l’affare principale di alcuni gruppi criminali che, nel frattempo, sono riusciti a diventare sempre più forti e radicati.
SESSO E VUDU‘. In prima linea c’è la mafia nigeriana che ha sviluppato un metodo semplice ed efficacissimo per rifornire di lucciole i marciapiedi di mezz’Europa. Una via che mischia seduzione, affiliazione, magia, religione e abiezione. L’organizzazione presidia i villaggi dell’Africa subsahariana per scegliere le ragazze che con blandizie vengono convinte a sbarcare in Occidente e con la minaccia del vudù vengono costrette a battere fino al pagamento di un debito accollatosi dalla maman per trasferire la “protetta” dall’Africa all’Europa. Anche qui gioca tantissimo l’ignoranza: 50mila euro, per chi non conosce cosa sia il cambio, sembrano pochissima cosa agli occhi di chi vive rapportandosi ad una moneta debole come il Naira.
La Dia, nella prima relazione semestrale 2014, delinea così gli affari delle gang nigeriane della prostituzione: “Il traffico di esseri umani finalizzato alla prostituzione continua a costituire un mercato di grande interesse per la criminalità nigeriana. Esso inizia con il reclutamento di giovani connazionali convinte o costrette a trasferirsi dalla madrepatria con minacce e violenze fisiche e psicologiche, spesso estese ai parenti, incentrate essenzialmente sull’assoggettamento personale basato sulle superstizioni derivate da riti tribali, che riducono le donne in un vero e proprio stato di sudditanza psicologica e di schiavitù. Tali pressioni sono esercitate, il più delle volte, dalle cosiddette “maman”, donne nigeriane di età più avanzata che riescono così ad ottenere un facile controllo delle giovani vittime”.
La chiave del successo di questi sodalizi è nella loro capacità di essere presenti, contemporaneamente, in più nazioni: “La capillarità del sistema criminale – spiegano gli inquirenti sempre a proposito delle mafie africane -, creatasi nel tempo nelle aree continentali, garantisce capacità operativa ai sodalizi che tuttavia continuano a mantenere uno stretto legame con i paesi d’origine”.
SCHIAVE CINESI. Il danaroso mercato della prostituzione ha ingolosito anche le triadi cinesi. Che non solo hanno messo su un sistema ingegnoso di organizzazione e copertura dei bordelli ma sono riusciti anche ad aprirsi a clienti non più interni alla comunità di immigrati asiatici garantendo l’accessibilità ai “servizi” delle schiave del sesso praticamente a tutti. Gli investigatori dell’Antimafia hanno individuato un nesso strettissimo, nell’ambito della criminalità cinese, tra immigrazione clandestina e prostituzione: “Sistematica proiezione delle condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dalla Rpc con un ricorso quasi consueto alla complicità di soggetti italiani, specie per quanto attiene alla falsificazione dei documenti necessari all’ingresso e permanenza sul territorio italiano. Tale illecito è finalizzato ad alimentare il bacino di reclutamento per lo sfruttamento della manodopera in nero e della prostituzione”.
Come si sarebbe sviluppato il mercato, tra connivenze con altre donne e “prestanomi” italiani, secondo la Dia: “Quest’ultimo fenomeno, in passato orientato verso una clientela di connazionali, ma ormai aperto anche all’esterno della comunità cinese, continua ad essere articolato su scala nazionale attraverso sedicenti centri estetici, gestiti solitamente da donne e particolarmente radicati nelle maggiori realtà urbane del centro-nord. La prostituzione, tuttavia, viene esercitata anche in appartamenti il cui contratto di locazione è quasi sempre intestato a cittadini cinesi regolari o ad italiani che si prestano a tale scopo”.
I MANAGER DELLO SFRUTTAMENTO. Lo sfruttamento della prostituzione, però, è l’affare per eccellenza della criminalità romena e delle bande delinquenziali provenienti dall’Est Europa. Ragazze giovanissime, talora anche minorenni, vengono gettate sulle strade di mezz’Italia. Gestite in maniera imprenditoriale. La Dia focalizza così il fenomeno: “I reati di sfruttamento della prostituzione e riduzione in schiavità sono, in linea generale, tra i delitti maggiormente perpretati in modalità associativa dalla criminalità romena e caratterizzati da dinamiche frequentamente ricorrenti”.
Gli inquirenti tratteggiano l’affare sesso secondo la mafia dell’Est: “Si tratta di organizzazioni i cui componenti spesso provengono dalla medesima regione ed esercitano una vera e propria gestione imprenditoriale della prostituzione e dell’accattonaggio reclutando giovani donne e disabili nei paesi d’origine, anche minorenni, presso orfanotrofi o nosocomi oppure dagli stessi familiari previo compenso in denaro”. La tratta, quindi, inizia subito. Però occorre, accanto al controllo nel “proprio” Paese, esercitare una certa influenza anche in Italia: “Elemento di primaria importanza nella conduzione di siffatto illecito è il controllo delle aree sulle quali far esercitare accattonaggio e meretricio, considerate un vero e proprio posto di lavoro. L’occupazione del territorio utilizzato rappresenta un privilegio dietro al quale si muove l’imposizione di una tangente nei confronti degli appartenenti ad altre organizzazioni, generando, non di rado, sanguinosi conflitti tra i vari gruppi che gestiscono l’attività illecità, sia di connazionali sia di altre etnie”.