Siamo ben consapevoli che il film di Sorrentino, malgrado una valanga di premi vinti, sino all’Oscar (2014) un anno dopo la sua uscita, sia spesso fonte di polemiche. Poco importa ai più che la fotografia – assolutamente straordinaria, chi ha almeno una minima cognizione di cinema non può negarlo – sia firmata da Luca Bigazzi: il maggiore esponente oggi in attività. Per non parlare poi dell’ottimo cast, dove spicca nei panni dell’ormai quasi iconico Jep Gambardella, quello che è a nostro avviso l’attore più ispirato a livello internazionale, quel Toni Servillo, che forma un sodalizio ben collaudato proprio con l’amico Sorrentino. Fatto sta, che a molti il film non è affatto piaciuto.
Analogie/dissonanze La dolce vita/La grande bellezza
Chiariamo subito una cosa, solo due aspetti ci fanno collegare La grande bellezza a La dolce vita (1960) di Federico Fellini: l’accoppiata regista-attore e l’ambientazione romana di entrambe le pellicole. Per il resto, le due opere non hanno nulla o quasi a che spartire, epoche e messaggi diversi, autori totalmente differenti; da una parte un viveur in salsa romagnola come Fellini; dall’altra Sorrentino, il quale oscilla tra le denunce sulle oscurità della società italiana (Il divo, 2008), e pellicole dal respiro internazionale, seppur mai intellettualmente, né politicamente sprovvedute (This Must Be the Place, 2011).
Siamo già rassegnati al fatto che La grande bellezza sia un film che crea immancabilmente delle divisioni: lo si ama o lo si odia visceralmente, solo l’originalità è capace di ciò. In questa pellicola si descrive perfettamente il decadimento morale della Roma contemporanea, mettendolo a confronto con la sua grandezza monumentale. L’opera in questione mostra, in modo altamente estetizzante, la Bellezza storica di Roma, arricchitasi nei secoli, esposta oggi all’empietà e amoralità di una cittadinanza che con la propria vacuità ha innescato un irreversibile processo di decadimento della Città Eterna. Viene perciò presentata la progressiva caduta di una grande capitale e con essa di un intero sistema di valori o, per dirla con Roland Barthes, di un codice gnomico.
Il film e le critiche da sinistra e da destra
Abbiamo accennato prima alle “divisioni” che questa pellicola ha creato, e ancora crea, nel pubblico e nella critica. A dire il vero, vogliamo qui stigmatizzare due situazioni ben diverse, benché entrambe legate a ragioni politiche e culturali. In primis, la sinistra, che si è sentita palesemente attaccata da Sorrentino (coautore, con Umberto Contarrello, anche delle sceneggiatura), mostrando una malcelata ostilità verso la sua opera, per poi essere messa definitivamente a tacere dalla vittoria della ambita statuetta da parte del regista napoletano. Tuttavia, la destra – specialmente quella più volgarotta, “cafonal” direbbero alcuni – da parte sua ha trovato La grande bellezza noiosa e pesante. In breve cercheremo di analizzare entrambe le reazioni, tipiche di un Paese da tempo lacerato, condannato a un manicheismo di bassa lega, degno davvero della opposizione tra i sostenitori di Bartali e Coppi.
Come detto, Sorrentino nel suo film spara a zero sulla sinistra italiana, specialmente sui radical chic, autentici parassiti della società. Poteva benissimo ridicolizzare i soliti e ormai satiricamente lisi berluscones, invece se la è presa con quelli che noi ormai da anni definiamo i benpensanti del progresso. Lo ha fatto, ad esempio, con la celebre tirata di Jep, atta a demolire il femmineo stereotipo di una ricca e snob militante di SEL. Riteniamo che vada citata integralmente, visto che ha probabilmente già fatto la storia del cinema italiano:
Su “donna colle palle” crollerebbe qualsiasi gentiluomo… Stefa’ l’hai voluto tu, eh? In ordine sparso. La tua vocazione civile ai tempi dell’università non se la ricorda nessuno; molti invece ricordano personalmente un’altra tua vocazione che si esprimeva a quei tempi, ma si consumava nei bagni dell’università. La storia ufficiale del partito l’hai scritta perché per anni sei stata l’amante del capo del partito. I tuoi undici romanzi pubblicati da una piccola casa editrice foraggiata dal partito, recensiti da piccoli giornali, vicini al partito, sono romanzi irrilevanti, lo dicono tutti, questo non toglie che anche il mio romanzetto giovanile fosse irrilevante, su questo ti do ragione. La tua storia con Eusebio: ma quale? Eusebio è innamorato di Giordano, lo sanno tutti… da anni pranzano tutti i giorni da Arnalda, al Pantheon, sotto all’attaccapanni come due innamoratini, sotto alla quercia. Lo sanno tutti e fate finta di nulla. L’educazione dei figli che tu condurresti con sacrificio minuto per minuto: lavori tutta la settimana in televisione, esci tutte le sere, pure il lunedì, quando non si manifestano neppure gli spacciatori di popper. I tuoi figli stanno sempre senza di te: pure durante le vacanze, lunghe, che ti concedi, poi hai per la precisione un maggiordomo, un cameriere, un cuoco, un autista che accompagna i ragazzi a scuola, tre babysitter… Ma insomma… come e quando si manifesta il tuo sacrificio?! Queste sono le tue menzogne e le tue fragilità. Stefa’, madre e donna, hai cinquantatré anni e una vita devastata, come tutti noi… Allora invece di farci la morale… di guardarci con antipatia… dovresti guardarci… con affetto… Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un poco in giro… O no?
Ovvio che la sinistra non gli perdonerà mai un attacco frontale di questo genere. Il fatto importante è però un altro, ovvero che il cineasta ha non solo, tramite il suo protagonista, evidenziato una lapalissiana verità, ma la cosa ben più grave è che egli non può certo essere considerato un uomo di destra. Ragion per cui, la sua denuncia diventa ancor più incisiva. Il punto è che, già a partire dal suo film di prossima uscita (La giovinezza), Sorrentino in produzioni tutte italiane lo vedremo poco, comprensibilmente disgustato da una critica militante e ottusa. Continuerà a girare sempre più inglese e ad avvalersi di attori stranieri. Forse farà la fine di un altro grande, Bernardo Bertolucci, che da quando ha smesso di fare cinema “impegnato”, per regalarci capolavori come L’ultimo imperatore (1987), è stato sistematicamente mal sopportato dai cinéphile gauchiste. Fare dei film dal respiro internazionale, tradendo la Causa? La sinistra non può semplicemente accettarlo.
Sul totale disprezzo che la destra ha mostrato per l’opera di Sorrentino non vi è francamente molto da dire. È un male antico, quello della poca cultura in certi ambiti e ce ne dispiace assai, poiché in passato era l’esatto contrario; di destra o semplici conservatori furono quasi tutte le maggiori menti italiane, da Evola a Gentile; da Praz a Tucci, passando per Pirandello. Ciò malgrado, il più noto speaker radiofonico romano, appartenente a questa area politica, invece di lodare la critica di Sorrentino verso la sinistra, ha promosso mesi fa una crociata contro La grande bellezza, opera rea di aver denigrato Roma. Il tale in questione, che naviga solo sulle facili idiosincrasie de: “Cor veleno corve”, non solo non ci ha capito proprio nulla del film, ma ha persino dimostrato una certa ignoranza, sostenendo che sia meglio vedere i film di Checco Zalone, che quelli di Paolo Sorrentino. Andiamo bene!
Davvero strane le vicende legate a questo film: chi lo ha odiato, perché sentitosi messo alla berlina. Chi dal canto suo non lo ha assolutamente amato, poiché intossicato da anni di “cinepanettoni”. Il fatto che molti in Italia non abbiano apprezzato una pellicola che ha confermato la grandezza della nostra Settima Arte è da considerarsi solo che una occasione persa. Costoro non hanno afferrato il messaggio di fondo dell’opera: l’Occidente è ormai messo male, però esiste ancora un “Bastione Italia” e il “Baluardo Roma”, ovvero la Storia. Per tale cagione, il film di Sorrentino è importante, visto che, attraverso una forma barocca e quasi esotericamente estetizzante, ci chiede: ma voi Roma, con la sua Bellezza, ve la meritate? La risposta oggi non può che essere negativa. Non per niente, uno del calibro di Federico Zeri disse degli italiani: “Non si meritano proprio nulla”.
Tirando le somme, una caratteristica dell’Arte è anche quella di vedere le cose nel profondo, leggere la società e, talvolta, anticiparla. Il personaggio di Romano (un puntuale Carlo Verdone) dice questo al suo fraterno amico Jep:
“Roma mi ha molto deluso”.
Allora, vorremo dire al signor “Cor veleno corve”, che la pellicola di Sorrentino fa tutt’altro che denigrare la Città Eterna, anzi la mostra nella sua impareggiabile magnificenza, e noi speriamo che prima o poi gli adulatori di New York e Parigi comprendano che queste due sopravvalutate metropoli, al confronto di Roma, sono quasi dei borghi di periferia. Se della Capitale si parla male nel film, lo si fa per via della sua corruzione, morale e politica. Gli scandali capitolini degli ultimi mesi non danno forse ragione a Sorrentino? Molto difficile ormai essere di destra o di sinistra in Italia, sembra che l’unico comun denominatore siano l’arroganza e un totale astio per il Bello e, va da sé, anche per La grande bellezza.