Noialtri “occidentali” siamo vissuti circa sette decenni nella beata illusione che fosse un ricordo del passato, qualcosa di diventato ormai impossibile: almeno da noi. Roba che ormai succedeva anche altrove e agli altri. Forse avremmo dovuto ricrederci da tempo: e forse, del resto, magari avevamo già mangiato la foglia almeno dal tempo del Vietnam eppure non volevamo ammetterlo. Certo, pian piano, il suono dei tamburi lontani si è andato sempre più avvicinando all’Aiuola Felice dell’Occidente: il Vicino Oriente, l’Africa, l’Iran, l’America latina, i Balcani.
Ora ci siamo. Non alla guerra, o comunque non è detto. Ma alla sensazione che qualcosa è cambiato, che l’incanto è rotto, che siamo quasi in prima linea o che comunque ne abbiamo il sospetto, la paura, la rassegnata certezza, magari perfino l’incosciente curiosità.
Se a uno storico del futuro, un anno qualunque del futuro, un Anno “X” (ammesso che in quell’anno ci saranno ancora degli storici), qualcuno facesse un quadro come quello di questo febbraio del 2015 – la pace in Ucraina appesa a un filo o, peggio, messa nelle mani di personaggi come monsieur Hollande; la Giordania che scende in conflitto diretto con l’IS e minaccia fuoco e fiamme; la Nigeria che sta volando in pezzi; l’Occidente che si sente minacciato; il papa che tuona contro l’ingiustizia ormai insostenibile che governa il mondo -, e gli chiedesse quanto manca allo scoppio della guerra, quello risponderebbe forse qualche giorno, forse qualche settimana o mese. Ma forse il papa ha ragione: la guerra è già cominciata, solo che nulla è accaduto come il 3 settembre del ’39, quando i governi di Sua Maestà Britannica e della Repubblica francese consegnarono il loro ultimatum al governo del Reich. Peraltro appena un anno prima di quel fatidico 3 settembre, a Monaco, era stato scongiurato per un soffio quel che fatalmente si verificò poco più tardi: ma nessuno dei quattro capi delle potenze convenute a Monaco – Chamberlain, Hitler, Mussolini, Valadier – si era mai sognato neppure per scherzo di pronunziare quella parola terribile, “guerra”. Al contrario, avevano declinato in ogni modo possibile il suo rassicurante contrario, “pace”. Con quanta incosciente naturalezza, viceversa, Hollande ha dichiarato che siamo a un passo dalla guerra…Vogliamo trarne un fausto presagio? Forse, dato che colui che purtroppo è attualmente l’inquilino dell’Elisée non ne azzecca una.
Comunque, nei colloqui a quattro che stanno svolgendosi adesso tra i premiers russo, ucraino, tedesco e francese per risolvere la crisi ucraina, ci sono una Grande Assente e un Convitato di Pietra: un’assenza e una presenza entrambe inquietanti.
La Grande Assente è l’Europa, che dovrebbe essere la principale se non unica partner sia di Ucraina, sia di Russia. Il presidente francese e la cancelliera Merkel, rappresentanti di un’Europa “carolingia” e atlantista (e così arriviamo al Convitato di Pietra) non rappresentano l’Unione Europea, la quale purtroppo non ha alcuna voce diplomatica, né l’Europa che purtroppo ancora non esiste. La crisi ucraina riguarda viceversa in primissima istanza proprio l’Europa nonché quella che dovrebb’essere la sua vicina, confinante e anche alleata o quantomeno buona interlocutrice e partner tanto politica quanto economica e commerciale, la Russia. Ma perché l’Europa si è lasciata trascinare su una via pregiudizialmente ostile nei confronti della Russia, perché si è lasciata imporre addirittura un embargo deleterio soprattutto e anzitutto per l’economia italiana? E qui entra in scena il Convitato di Pietra: l’ambigua presidenza degli Stati Uniti d’America, che di tanto in tanto si dimentica di essersi tirata in disparte rispetto al ruolo di superpotenza egemonica mondiale e di tanto in tanto si dimentica di essersene dimenticata: e promette armi all’Ucraina (il che oltretutto dovrebb’essere un buon business: e Obama non sta promettendo al suo popolo di tirarlo fuori dalla crisi?) e rischia di trasformare la crisi ucraino-russa, che si avrebbe motivo di ritenere almeno in parte intraeuropea, in crisi russo-statunitense trascinando ovviamente in essa l’Europa non già nel ruolo storico e geopolitico che sarebbe bene le spettasse bensì in quello di gregaria degli USA..
E qui il Convitato di Pietra si sdoppia: il suo alter ego e la sua longa manus sono ovviamente la NATO, organizzazione in cui entrano automaticamente tutti i nuovi partnersdell’Unione Europea e che dipende essenzialmente dal Pentagono. E’ la NATO, quindi il Pentagono, quindi gli USA, ad aver interesse a piazzare i suoi centri tattico-strategici il più vicino possibile alla frontiera russa: è il copione della Georgia nel 2008 che si sta ripetendo, mutatis mutandis, quasi alla lettera. L’Europa viene da tutto ciò ancora una volta emarginata.
L’altro scenario è il Vicino Oriente, dove la fitna intramusulmana ha trovato un catalizzatore: la provocazione dell’IS alla Giordania ha funzionato in pieno. Il rogo del sottotenente pilota è parso a molti una grossolana barbarie: ebbene, senza dubbio barbarie è stata: ma tutt’altro che grossolana. Chi ha acceso il rogo era un criminale imbecille, ma chi gliel’ha ordinato è un criminale raffinatissimo (il punto è: chi ha predisposto uno spettacolo arcaico per innescare un raffinatissimo processo mediatico-militare?). La Giordania è uno degli anelli più deboli della catena vicino-orientale: ha un re altamente impopolare che governa attraverso la repressione di molti oppositori sempre più filojihadisti in un paese che ormai rigurgita di profughi principalmente palestinesi, siriani e irakeni; un paese privo di risorse (a parte il turismo e i fosfati) che vive degli aiuti soprattutto americani e sauditi e che sta, vaso di coccio tra vasi di ferro, incuneato tra Israele e Arabia saudita. Questo paese è adesso in prima linea contro un nemico in realtà semisconosciuto, forse manovrato astutamente da un mandante senza scrupoli il cui scopo ultimo è far letteralmente saltare il precario equilibrio vicino-orientale e ridefinirlo. L’ultima volta che tale equilibrio è stato ridefinito, ne è nata la crisi irakena voluta da Bush: ma allora il quadro delle forze che oggi si definiscono jihadiste era, almeno in apparenza, più chiaro e meno pericoloso. E’ ancora presto per azzardare qualche linea interpretativa.