“I militari italiani assieme ai loro colleghi di altre nazionalità portano avanti la missione loro affidata con una dedizione e spirito di sacrificio che vanno ben oltre il senso del dovere; essi rispecchiano il volto dell’Italia bella evocato anche dal Presidente della Repubblica nel Messaggio di fine anno” (da Avvenire, 6 gennaio 2015). L’Ordinario Militare d’Italia monsignor Santo Marcianò reca il saluto del Papa ai militari italiani della missione UNIFIL, da tempo impegnata in Libano nel difficile compito di mantenere sicurezza e stabilità interna in quella che, forse, è l’ultima democrazia del Medio Oriente.
Sotto comando italiano Attiva dal 1978, la missione di peace keeping ONU UNIFIL è guidata dal generale italiano Luciano Portolano. Sono circa 30 mila e di 13 nazioni diverse i soldati schierati nel Paese dei Cedri e l’autorevolezza e la professionalità italiane hanno ricevuto apprezzamento non solo dall’ONU, ma anche dal mondo civile e politico libanese: il governo di Beirut e il Partito di Dio (Hezbollah, tra i principali del paese) hanno più volte espresso considerazione e rispetto per l’attività dei nostri uomini. Eppure, di Portolano e di UNIFIL sentiamo poco parlare. Forse perché quella libanese è una realtà “tranquilla”?
Rischio guerra civile Dopo anni di conflitto interno, il Libano vive un periodo di ordine e di stabilità. Cristiani e islamici riescono a relazionarsi e ad operare nella quotidianità in armonia. E tutto ciò grazie anche all’impegno del contingente di Portolano. Ordine, sì, ma anche una grave crisi umanitaria provocata dal sovraffollamento dei campi profughi dove, stando ad alcune stime, oltre 1 milione e mezzo di civili siriani avrebbe trovato rifugio dalla guerra. E con 4 milioni di abitanti, Beirut si ritrova a fronteggiare spese molto elevate, disservizi, tensioni e, secondo quanto riportato da Asia News nei primi giorni di dicembre, anche un’ impennata del tasso di criminalità. La vicinanza con il teatro bellico, poi, rischia di vanificare gli sforzi del governo e della missione UNIFIL: Jabat al Nusra (AL Qaeda) e ISIS sanno bene che Hezbollah è apertamente schierato con Damasco tanto da aver inviato un’unità di 6 mila uomini a Tartus nel 2013, per combattere il fronte ribelle. Una presa di posizione rischiosa: nel corso del 2014 diversi sono stati gli attentati contro check point libanesi sul confine con la Siria. Eppure, emergenza umanitaria e attacchi fanno poca notizia. Si tratta solo di montature giornalistiche?
Allargamento del fronte Nessuno pare accorgersene, ma Irak e Siria sono oggi un unico fronte di guerra. ISIS e Al Qaeda sono tutt’altro che sconfitti e l’emergenza umanitaria che affligge il Libano potrebbe provocare un allargamento della guerra civile siriana, con possibilità di perdita dell’unica nazione stabile e democratica del Medio Oriente. Al di là delle visite istituzionali dell’Ordinario Militare e del Presidente del Senato Grasso (16 dicembre 2014), il ruolo di controllo esercitato da UNIFIL nel sud del Libano continua a ricevere scarsa attenzione mediatica e politica. Sì, d’accordo, in ottemperanza agli impegni della Conferenza dei donatori di Kuwait City l’Italia ha versato a Beirut 150 milioni di aiuti. Ma i soldi servono fino ad un certo punto: prima di Mare Nostrum/Frontex, prima delle politiche di accoglienza, prima delle linee guida per un contrasto efficace al terrorismo islamico e al fenomeno dei foreign fighters, è necessario comprendere l’importanza strategica dello stato libanese: cadesse preda della guerra, rischieremmo di perdere l’intero MO, fagocitato dallo scontro con le milizie islamiche. Ed allora, un’intera fetta di Mediterraneo sud orientale finirebbe sotto il controllo delle organizzazioni terroristiche, vanificando il sacrificio di uomini e il dispendio di risorse impiegate per sconfiggere il Terrore.