«Vogliono che l’orso stia seduto tranquillamente e mangi il miele. Ma tentano di metterlo in catene, di togliergli i denti e gli artigli e impagliarlo». Se la politica e il suo linguaggio sono anche questione di simboli, Vladimir Putin ha dimostrato per l’ennesima volta che, a prescindere dal giudizio che si può dare dell’uomo e del capo di Stato, si muove come un gigante in mezzo ai nani. Non solo – o non tanto – per quel riferimento al simbolo della Russia, un’epifania che risulta intellegibile anche al contadino meno scolarizzato della parte più oscura della Russia. Ma soprattutto per le parole di sfida, orgoglio e fermezza con cui ha parlato, ancora una volta, al mondo.
L’occasione gli è stata fornita dalla consueta conferenza stampa annuale: dinanzi a 1200 giornalisti dei media nazionali e internazionali, ha affrontato a viso aperto la crisi del rublo e la questione ucraina. Due tenaglie che vorrebbero strangolare l’orso russo da due lati, grazie alle guerre lampo della finanza turbocapitalista senza Stato e alle misure – vedi l’embargo che stanno pagando migliaia di imprese italiane – che vorrebbe isolare il gigante che dorme sull’Europa. Putin ha dato un colpo ad entrambe. Prima ha rassicurato il suo popolo affermando che «ci sono le risorse sufficienti per affrontare la crisi, il ritorno alla crescita è inevitabile»; poi, alla domanda se la crisi economica in Russia sia il prezzo da pagare per la Crimea, ha dato una risposta emblematica: «No, è il prezzo del naturale desiderio di sopravvivere come nazione», aggiungendo di « non temere colpi di p