La recente uscita del film di Abel Ferrara su Pier Paolo Pasolini, magistralmente interpretato dall’attore americano Willem Dafoe, e il conseguente dibattito che ne è scaturito, ci spinge a fare alcune considerazioni su questo contrastato personaggio. Ci vengono in mente a tal proposito le suggestive riflessioni che Marcello Veneziani ha espresso negli anni su Pasolini, definito dal giornalista e intellettuale di Destra, come un uomo con un: “amore disperato del passato e della tradizione”, il cui triplice comandamento era: “Difendi, conserva, prega”. Il poeta stesso si vedeva come: “uno sgraziato reazionario”. Ragion per cui, ci sentiamo in buona compagnia nell’individuare degli elementi tradizionali, persino di Destra, in quello che molti considerano l’intellettuale di sinistra per antonomasia. In questo breve spazio proveremo a focalizzare tali aspetti poco noti di Pasolini che sono assai significativi per capirne la visione mondo e della vita.
Dobbiamo però chiarire subito che se da un lato la sua meravigliosa pellicola Il Decameron (1971) rivela un Pasolini assolutamente a suo agio con la tradizione umanistica italiana, con un afflato poetico e vitale; dall’altro non possiamo non inorridire davanti alla sua ultima fatica cinematografica: Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), il frutto dell’odio per tutto e tutti di un uomo minato nel corpo e nell’anima, quasi in attesa di quella tragica fine che tutti conosciamo.
Oggi piangiamo la memoria di Pasolini, poiché siamo ben lontani dalla sua onestà intellettuale. Come non ricordare la indimenticabile intervista televisiva a Ezra Pound, realizzata nel 1968. Con gli occhi quasi commossi, Pasolini ascolta e commenta le opere di Pound. Il marxista, e non comunista come molti incoltamente pensano, e il fascista, ma quale dignità e reciproca stima. Questo abbiamo perso: il rispetto tra intellettuali, anzi abbiamo proprio perso la fondamentale figura dell’intellettuale tout court, e ora abbiamo solo dei vassalli di un potere benpensante e globalizzato. Non abbiamo più scrittori e studiosi capaci di riconoscere il talento e di rispettarlo prima di ogni altra cosa, malgrado le possibili divergenze politiche, come nel caso dei due poeti qui sopra. In questa nostra triste epoca, chi si arroga la qualifica di intellettuale è solo un galoppino della corrente di pensiero che domina ormai il mondo, pronto a mentire solo per mantenere i propri numerosi privilegi. Lo studioso di oggi non ricerca nulla o quasi, se non il profitto e la gloria personale. Inoltre, è sufficiente pensare agli ultimi Premi Nobel per la Letteratura, per accorgersi che di grandi scrittori in giro non ce ne sono più.
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Ben pochi sanno che Pasolini era un abile karateka, informazione confermataci dal Centro Studi che porta il nome, presso la Cineteca di Bologna. Tra tante arti marziali, scelse proprio quella storicamente più di Destra! Non a caso in gioventù scrisse su Architrave, rivista degli universitari fascisti di Bologna. Molto nota, invece, la sua adorazione per la Bibbia, che egli definì: “La più bella opera letteraria mai scritta”. Come poteva dunque essere di sinistra, quando il precetto di questa area politica è l’odio per la religione, segnatamente per quella Cattolica? Una tesi che dovremmo almeno tenere in considerazione è che il suo essere marxista sia stata una forma di rigetto contro l’immoralità della DC e che per opporsi con autorevolezza al Potere in quella Italia, solo a sinistra si poteva andare.
Pasolini aveva ben poco dell’intellettuale di sinistra e dei suoi cliché. Ecco uno dei tanti motivi per cui non piaceva molto Italo Calvino, uno che invece comunista lo fu davvero, il quale poi nel 1957, uscendo dal PCI, fece puntualmente orecchie da mercante sui malanni del partito. Chi scrive da anni fa ricerca su questo grande scrittore, ma alcuni suoi silenzi vanno stigmatizzati.
Chiediamoci allora cosa è stato Pasolini. Senza ombra di dubbio, un raffinato commentatore sociale, probabilmente un medio regista e scrittore, ma un ottimo poeta. Sempre e comunque netto nelle sue scelte, con un gusto quasi mishimiano per il culto del corpo e della gioventù, nonché per la provocazione. Tutti valori anche di Destra. Alla fine, non stiamo forse parlando di una persona che ne La meglio gioventù (1954) si descrisse in questo modo: “Io sono nero d’amore”? Perciò chiediamoci: perché proprio quel colore? Perché il karate? Perché l’attrazione verso l’Italia Medievale e non per il progresso, come impone invece da sempre il pensiero socialista? Siamo dunque così sicuri che Pasolini sia da considerarsi un intellettuale di sinistra? Forse sì, ma non certo di quella sinistra di tanti professoroni parrucconi che giocano ancora a fare i difensori degli “ultimi”, ma con la casa ai Parioli; già, quei pariolini odiati dall’artista italiano. Ne abbiamo avuti di molto migliori come registi e scrittori. Purtuttavia, il dato è un altro: pensiamo chi eravamo, noi, l’Italia, se abbiamo potuto considerare Pasolini semplicemente uno “bravino”. Egli penserebbe oggi che viviamo in un mondo che non va amato, poiché il vero intellettuale ha il dovere di schernire l’Umanità che abbiamo ormai davanti ai nostri occhi. Questa è la lezione che Pasolini ci ha lasciato: il dovere di un uomo di cultura.