Secondo il recente Rapporto OpenPolis, l’84% delle leggi finora approvate dal Parlamento (72 su 86) è di iniziativa governativa. Questo significa che Camera e Senato si stanno, sempre più, trasformando in notai dell’Esecutivo, costretti, nella logica delle “grandi intese” ad avallare decisioni e mediazioni, che – si legge nel “Rapporto” – scaturiscono da “una dinamica fra Governo e partiti di opposizione che ha tagliato i gruppi parlamentari di maggioranza e favorito chi, pur non sostenendo il Governo, si è reso disponibile a lavorare su determinati provvedimenti”.
Mentre insomma i singoli parlamentari sono impegnati nella gara a protocollare quanti più ddl è possibile (sono 3.223 i disegni di legge presentati dall’inizio della legislatura), ma con scarse probabilità di discussione, stiamo assistendo ad una vera e propria metamorfosi del nostro sistema costituzionale, già segnato dall’anomalia di governi tecnico-politici nati senza l’investitura popolare e grazie al salta fosso politico di turno.
Per anni, dal 1994 (da quando – guarda caso – il centrodestra è andato, con fasi alterne al governo del Paese), l’Italia è stata considerata in balia di una “deriva antidemocratica”. A sostenere l’accusa un’armata di giornalisti, opinionisti, intellettuali, fini dicitori radiotelevisivi, pronti ad utilizzare tutti i “pulpiti” massmediatici per le loro indignate campagne, pagate fior di Euro dall’ “antidemocratico” sistema comunicativo. Ora nessuno sembra preoccuparsi più di tanto dello strapotere dell’esecutivo, delle leggi votate a colpi di fiducia, dell’anomalia di un sistema in cui è sempre più difficile individuare i confini tra maggioranza ed opposizione. Tutti insieme appassionatamente, con il risultato che, alla fine è la volontà popolare ad essere messa in un cantuccio insieme ad un sistema democratico-parlamentare sempre più alla canna del gas.
Il popolo, quello vero, per ora, tace, confermando il grande distacco tra eletti ed elettori, un distacco reale, visto quanto poco è considerata la volontà della gente e quanto grande sia l’arroganza di certi eletti.
Storia nuova, storia del renzismo, a cui tutto sembra essere concesso ? Al contrario, storia vecchia di un’Italia che con questi problemi ha purtroppo dovuto fare i conti a fasi alterne, a cominciare dai primi giorni della sua Unità in poi.
Scriveva (nel 1972) Carlo Cerbone ad introduzione dell’antologia “L’antiparlamentarismo italiano (1870-1919)”, edita da Giovanni Volpe Editore: “C’è una significativa coincidenza fra gli argomenti della critica al parlamentarismo sviluppatasi intorno al 1880, e quelli della discussione sul gap istituzionale accesi negli Anni ’50 e fattasi poi sempre più viva. Allora, come oggi, ci fu chi lamentò che vi fosse ‘una vera opinione pubblica’ sovente ‘diversa ed opposta a quella che appare nel meccanismo della maggioranza’; che la vita del Parlamento in Italia non fosse ‘legata con la vita della società’; che il Paese lavorasse ad arricchire ed il Parlamento a legiferare soltanto; che nella Camera predominasse la più decisa e schiacciante mediocrità e che questa divenisse ‘una parziale e fittizia rappresentanza del Paese giacché, di giorno in giorno, una quantità sempre maggiore di forze vive, di elementi atti alla direzione politica’ ne restava esclusa; che i partiti lottassero nel Paese e non per il Paese e che si dissolvessero in gruppi e clientele come la coscienza nazionale si dissolveva nei ‘fini personali e immediati degli individui’…”.
Le citazioni (da saggi “d’epoca” di Giorgio Arcoleo, G. Arangio Ruiz, Alfredo Oriani, Gaetano Mosca, Pasquale Turiello, Marco Minghetti) confermano come siamo paradossalmente nella stessa condizione di cento e più anni fa: scissione tra eletti ed elettori, mediocrità di certi politici, guerra partitocratica, fini personali che si confondono con quelli politici.
Quello che venne, dopo gli anni della crisi del parlamentarismo, fu il fascismo.
Mentre si delegittima la volontà popolare, a che cosa si sta lavorando ?