La Corte ha deciso di assolvere tutti, e quindi l’uccisione di Stefano Cucchi non sarà punita. Si sa che Cucchi è stato ucciso mentre era in prigione, si sa che Cucchi era in prigione per ragioni stupidissime, si sa che Cucchi è una vittima dello Stato, si sa che l’Ospedale Pertini ha enormi colpe, e quindi si sa che molto spesso legge non è sinonimo di diritto, e talvolta legge è sinonimo di violenza, o addirittura di delitto. Però non si sa chi porta la re- sponsabilità personale per l’uccisione di Stefano Cucchi. Lo Stato non è una persona. La Costituzione dice che la responsabilità è personale, non è di gruppo, e che va provata in modo inequivocabile.
In casi come questi è difficilissimo distinguere tra diritto e sopraffazione e anche tra diritto e sentimento e tra diritto e giustizia. E non è facile definire il luogo esatto nel quale si trova il punto di vista garantista. Il delitto Cucchi, che è un delitto di Stato, è rimasto impunito. E questa è una ferita al diritto. Perché rende evidente l’incapacità, da parte dello Stato, di punire i suoi stessi delitti. E anche l’incapacità di garantire che lo ”stato di diritto” viva dentro il nostro sistema carcerario.
Non solo è una ferita al diritto, ma è un atto di accusa nei confronti del nostro sistema carcerario, del sistema di polizia e della giustizia.I parenti di Cucchi versano le loro lacrime, perché speravano in una sentenza che chiarisse le cose, e dicesse loro perché è stato ucciso Stefano, e da chi. E naturalmente chiunque abbia un cuore e un vago senso della giustizia è dalla parte loro, del loro dolore, della rabbia per il modo nel quale lo Stato italiano gli ha portato via Stefano.
E tuttavia è molto pericoloso identificare la Giustizia con la Condanna. Credere che una Corte, per fare il proprio dovere, debba comunque condannare. Non è così. Mai. Non è così nei confronti del piccolo imputato, nei confronti di Berlusconi, e nemmeno dei confronti degli agenti della Diaz o dei medici e delle guardie carcerarie imputati per il caso Cucchi.
La necessità di fare giustizia e di scoprire la realtà è una necessità politica e non può essere mescolata con la necessità di fare giustizia secondo le norme della Costituzione. Se non esistono prove sufficienti sulla responsabilità personale degli imputati, gli imputati vanno assolti. Pensare che l’assoluzione violi i diritti della parte offesa, o violi la richiesta popolare di giustizia è la fonte più pericolosa del giustizialismo che mette in mora lo Stato di diritto.
Io non me la sento di unirmi al coro indignato per l’assoluzione. Sono convinto che nel dubbio si debba sempre assolvere e che una giustizia giusta non è una giustizia che appura la verità, o addirittura la verità storica, ma è una giustizia che rispetta le norme e che risponde al principio della presunzione di innocenza.
Il caso Cucchi forse è il più clamoroso sotto questo aspetto. Perché il contrasto tra la sentenza e l’aspettativa di massa verso la sentenza è grandissimo. Noi volevano una sentenza che punisse i soprusi in carcere, perché odiamo i soprusi in carcere e crediamo che occorrano dei fatti concreti per por fine a questi soprusi. Giustissimo. Ma una sentenza, o una indagine, o qualunque altro procedimento giudiziario, mai possono avere come scopo quello di imporre una modifica politica, o culturale o istituzionale. O addirittura di costituire “un esempio”. La giustizia esemplare non è giustizia. E neppure – per assurdo – la giustizia può avere lo scopo di accertare la verità. L’idea che la Giustizia sia l’anima della società è la madre di tutte le sopraffazioni della magistratura.
Diceva Pierpaolo Pasolini, accusando il potere politico – e in particolare la Dc – ”Io so, ma non ho le prove”. Lui diceva di sapere chi aveva fatto le stragi, quella di piazza Fontana, quella dell’Italicus, quella di Brescia. Aveva ragione. E’ facile dire che quelle stragi ( e quelle successive, avvenute dopo la sua morte) erano state realizzate quantomeno con la complicità di pezzi dello Stato e del mondo politico al potere. Ma questo non bastava, non basta per individuare i colpevoli. Per formulare accuse, per emettere sentenze.
A Bologna nel 1980 sono state uccise quasi cento persone, con una bomba. C’è stato un processo e sono stati condannati tre ragazzi di allora: Fioravanti, Mambro, Ciavardini. Quasi tutti coloro che si sono occupati di quei fatti sono praticamente sicuri che quei tre non c’entrano niente con la bomba di Bologna. Però erano fascisti, e la strage, più o meno – forse – era fascista. Voi credete che sia stata fatta giustizia per quella strage, solo perché è stata emessa una sentenza?
P.S. Molti chiedono: chi risarcirà la famiglia di Stefano? La famiglia di Stefano, che in questi anni si è dimostrata una famiglia meravigliosa, dolce, amabile, può essere risarcita in mille modi, non con una sentenza. Le sentenze servono ad affermare il diritto, non per risarcire i parenti. (da il Garantista)