E’ il 27 dicembre 1944. La guerra non è ancora conclusa, l’Italia è spaccata a metà, eppure un intrepido giornalista sulle colonne di un settimanale, destinato di lì a breve a far breccia tra milioni di lettori italiani, parla già di “arrivismo spudorato”. Il giornalista è Guglielmo Giannini. Il settimanale è invece l’«Uomo qualunque», che di li a poco si tramuterà – ma solo per un breve lasso di tempo – in un partito «vitalissmo».
Con piglio disfattista, Giannini titola l’editoriale del primo numero: “Abbasso tutti”. La grande macchina politica è ancora ai giri di rodaggio, ma il ritratto, tra il «grottesco e il pittoresco», tracciato dal grande “qualunquista” è, ahinoi, senza dubbio lungimirante. Il malcostume tutto italiano dell’attaccamento alla poltrona sta per germinare; ma quel che al direttore dell’«Uomo qualunque» preme lumeggiare in modo particolare è un vizio anch’esso tutto italiano e decisamente fastidioso: il trasformismo “gattopardesco” dei politici italiani, o camaleontismo che dir si voglia.
Tra i bersagli principali vi sono gli ex fascisti pronti in gran parte ad approdare nelle fila del Fronte popolare e più segnatamente alla corte del comunista Togliatti.
E a proposito di comunisti: il luogo comune che suole raffigurarli tra i servitori più ligi e, soprattutto, più onesti della cosa pubblica si infrange definitivamente, considerando quanto scrive Filippo M. Battaglia nel suo ultimo lavoro. A quei famelici avvoltoi delle casse statali che furono i democristiani, i comunisti non sono stati da meno, se si considera che la prima delle tante richieste di aumento delle paghe dei deputati proviene proprio dagli scranni rossi del Parlamento: nonostante nel Paese imperversasse la miseria, alcuni deputati comunisti fecero pervenire una richiesta di aumento, addirittura, del 140 per cento. Che fu prontamente rispedita al mittente dalla stessa Assemblea, perché evidentemente inaccettabile date le ristrettezze in cui versava gran parte della popolazione italiana. E ancora: fiumi di milioni furono elargiti per la realizzazione di premi e per la concessione di esenzioni a produttori di film nazionali, «con l’ossequiosa acquiescenza di quasi tutto il Parlamento, comunisti in testa».
E questo è solo l’antefatto del saggio dal titolo “Lei non sa chi ero io!” (Bollati Boringhieri) – da settembre in libreria – del giornalista e scrittore Filippo Maria Battaglia («Il Foglio», «Il Giornale»), che ci conduce agli albori dell’”avventura democratica”, quando quella che in seguito verrà ribattezzata con il nome di “Casta” trovò il suo humus favorevole. Beninteso: non aspettatevi la solita inchiesta dai toni eclatanti e dallo stile sciatto e dozzinale. I contenuti ci sono, gli aneddoti gustosi ma inevitabilmente dal retrogusto amaro se non amarissimo pure, e le citazioni che condiscono l’opera sono decisamente le migliori che si potrebbero ritrovare in un saggio di tale schiatta.
Da Giovannino Guareschi, che nel suo «Candido» racconta di una pratica destinata a grande fortuna come l’assenteismo (tra comunisti “ostruzionisti” e democristiani in “villeggiatura”); al conservatore liberale Panfilo Gentile che rileva ben presto l’autoreferenzialità del linguaggio adoperato dai politici (il cosiddetto “politichese”). E poi non mancano le firme di maggior rilievo del settimanale più innovativo e di rottura di quei tempi, «Il Borghese». Da Giovanni Ansaldo a Mario Tedeschi – a proposito del quale Battaglia attinge spesse volte dal “Dizionario del malcostume” – e, dulcis in fundo, Indro Montanelli, di cui si citano gli scritti apparsi sul Corriere della Sera, quando era ancora un baluardo dell’anticomunismo e cioè prima del cambio di timone del ’72 e conseguente virata a sinistra con Piero Ottone.
“Lei non sa chi ero io!” è l’implacabile resoconto degli sprechi dei primi vent’anni della Repubblica: una ricostruzione dettagliata della nascita della Casta, corredata da dati in parte inediti, tra scandali, ricatti, tangenti, omertà varie, e paraventi, che faranno scuola negli anni a venire.
*Lei non sa chi ero io!, di Filippo Maria Battaglia, (pp. 74, euro 8, Bollati Boringhieri)