Cosa sta succedendo a Bruxelles nel variegato panorama euroscettico? La notizia della mancata costituzione del gruppo parlamentare dell’Alleanza europea per la Libertà di Marine Le Pen ha destato stupore. Un breve passo indietro: per costituire un gruppo al Parlamento europeo sono necessari 25 eurodeputati di almeno 7 diverse nazionalita’. Il numero dei membri del gruppo è sempre stato ampiamente sufficiente poiché il solo Front National, forte del suo straordinario successo in Francia, puo’ contare su ben 23 membri, ai quali si devono sommare quelli conquistati dalla Lega Nord, dagli austriaci di Fpoe, dagli olandesi di PVV e dai fiamminghi del Vlaams Belang.
Mancavano all’appello due nazionalità e la Le Pen ha lavorato per settimane per recuperare anche singoli membri di partiti dell’est europeo disponibili ad aderire. Eppure qualcosa non ha funzionato. Da un lato Marine ha scelto di non stringere accordi con i cosiddetti “impresentabili”, a partire da Jobbik, Alba dorata e Npd. Dall’altro l’attivismo di Nigel Farage ha, contro ogni previsione, privato il nascente gruppo lepeniano di alcune possibili adesioni, fino a raggiungere la settima nazionalità proprio grazie ad un francese eletto con il FN. Dunque, Le Pen, Salvini, Wilders e gli altri rassicurano che a breve “il gruppo si farà” ma per ora finiranno tra i non iscritti: il che vuol dire meno risorse per l’attività politica, nessun funzionario, meno tempo per intervenire in aula, necessita’ di raccogliere ogni volta 40 firme anche solo per presentare un emendamento in aula.
Un colpo duro, che stride con il risultato trionfale di Marine Le Pen di alcune settimane fa, che mostra come i meccanismi del politicamente corretto siano stritolanti (basti pensare alle reciproche scomuniche tra Farage e Le Pen) e come, al netto dei proclami elettorali, la realtà dentro al Parlamento europeo sia molto più complessa di quanto appaia all’esterno. E di questo si accorgeranno presto, non tanto Farage che è ormai un politico navigato, quanto i grillini che per evitare la sorte toccata oggi ai leghisti sono innaturalmente confluiti nel gruppo EFD.
L’alternativa dei conservatori
Ma ragionare di quanto si muove a destra del Ppe porta inevitabilmente a considerare la grande crescita del gruppo ECR (Conservatori e Riformisti Europei). Nella generale sottostima e disattenzione, per la prima volta ECR con più di 70 membri scalza i liberali di ALDE dalla posizione di terzo gruppo a Strasburgo (dopo Popolari e Socialisti). Non solo: ECR fino a ieri a forte egemonia dei Tories britannici oggi si ritrova i polacchi del PiS di Kaczinsky (gia’ compagni di strada di AN nell’UEN) come prima forza del gruppo e mette a segno colpi importanti. Gli anti-Euro tedeschi di Alternative fur Deutschland (accolti dopo un voto che ha visto i Tories contrari per non indispettire la Merkel, ma finiti in minoranza), la destra fiamminga di N-VA, persino i nazionalisti irlandesi del Fianna Fail (tradizionalmente non proprio in sintonia con i Tories) hanno aderito a ECR.
Il programma del fronte conservatore
Euro-realismo, forte critica alla moneta unica e alla burocrazia europea, rispetto del principio di sussidiarietà (sovranità nazionale fin dove e’ possibile, Ue dove e’ indispensabile), contrasto all’immigrazione illegale, sono i principi che accomunano i membri del gruppo. A questo rinnovato protagonismo parlamentare si accompagna la battaglia del premier britannico David Cameron contro la nomina di Juncker a Presidente della Commissione Europea.
Cameron ritiene, a buona ragione, che Juncker non sia l’uomo giusto per riformare in profondità l’Ue e dare risposta a quel profondo segnale di cambiamento uscito dalle urne del 25 maggio. In cuor suo anche Angela Merkel non ama l’ex premier lussemburghese (che una volta oso’ criticarla per la sua opposizione alle misure prese dalla Bce di Draghi), ma proprio l’aspra opposizione di Cameron l’ha portata a dover difendere con maggior forza il candidato di quel Ppe di cui e’ azionista di maggioranza.
Pressato dalla batosta patita in patria ad opera di Farage, Cameron dopo aver annunciato il referendum sull’Ue per il 2017 si e’ intestato ora una sfida difficilissima, che da un lato potrebbe portare il Regno Unito in una posizione di isolamento (soprattutto se, ottenuta la possibilità di votare su Juncker in seno al Consiglio Europeo, Cameron non ritrovasse al proprio fianco Ungheria, Olanda e Svezia che pure hanno espresso critiche), ma dall’altro ha il merito di evidenziare le contraddizioni dell’attuale architettura istituzionale dell’Ue. Mentre si fa credere ai cittadini europei di aver eletto il Presidente della Commissione (sfido chiunque tra i lettori a confessare di aver votato per Juncker o Schulz o chiunque altro, anziché per il proprio partito nazionale), i trattati sanciscono che l’indicazione del capo dell’esecutivo comunitario spetti al Consiglio, ovvero ai capi di Stato e di governo.
Si scontrano quindi due legittimazioni popolari opposte (quella dei governi nazionali eletti – è il caso di Cameron, meno di Renzi – e quella del Parlamento europeo eletto) che pero’ in realtà deflagrano sulla nomina dei vertici della Commissione, cioè dell’unica istituzione senza legittimazione popolare. Sembra una mera questione di metodo, quasi irrilevante rispetto all’urgenza della crisi economica, dell’immigrazione selvaggia, dei conflitti internazionali, ma in realtà su questa diatriba si gioca il futuro stesso dell’Europa.
(da Destra.it)
*già parlamentare europeo