Da un lato il piano simbolico, dall’altro il piano aritmetico. Su tutte e due Silvio Berlusconi traballa. Eppure il berlusconismo è vivo, sta meglio del Cavaliere claudicante, lotta e sì, vota Renzi. Iniziamo da Berlusconi che non ha avuto nemmeno il tempo di “gioire” per la decisione dei giudici sull’affidamento ai servizi sociali che, nel giro di qualche ora, altri pezzi del suo mondo sono crollati. Il mandato di arresto per Marcello Dell’Utri, l’abbandono del suo storico portavoce Paolo Bonaiuti e la “fuga” dalla candidatura europea di alcuni big come Galan e Carfagna: tutto questo rappresenta un duro colpo per l’umore e l’immagine del Cavaliere. Se il destino giudiziario del sodale di una vita sembrava scritto dopo anni e anni di processi, resta comunque un punto assegnato a chi vorrebbe dipingere come un “romanzo criminale” l’avventura politica dei berluscones. Ciò che Berlusconi non si aspettava, però, era l’addio di Paolo Bonaiuti, motore della comunicazione e “traduttore” delle intemerate del leader nelle lunghe stagioni del governo né l’emergere di fuggi fuggi dalle liste in vista della «battaglia finale» delle Europee, come l’ha chiamata lo stesso Cavaliere.
Ma c’è anche il piano aritmetico sul quale il leader di Forza Italia fatica a reggersi. Stavolta questo non si misura solo con le rilevazioni dei sondaggi (che non danno il partito in gran forma, anzi) ma con un’indicazione di prospettiva molto pericolosa per chi abbia a cuore la continuità berlusconiana. Lo ha spiegato su Repubblica Ilvo Diamanti, sociologo e politologo: «Nelle urne sarà sfida a due». Attenzione: non tra Renzi e Berlusconi, ma tra Renzi e Grillo. «Vent’anni di Berlusconismo hanno abituato gli italiani a personalizzare il loro voto – spiega Diamanti – A votare pro o contro Berlusconi. L’anno scorso questo gioco non ha funzionato. Perché Berlusconi, ormai, è invecchiato. Più delle inchieste della Magistratura, l’hanno logorato anni e anni di governo e di promesse senza esito. Il mito dell’imprenditore e dell’individualismo possessivo. Reso in-credibile dalla crisi. Come la figura che ne è simbolo e interprete. Appunto. Certo, Berlusconi è in grado di sopravvivere alla fine del Berlusconismo. Anche perché è stato cooptato». Da chi? «Da Renzi. È lui, ormai, il leader di riferimento».
Qui entra in gioco un fattore potenzialmente spiazzante non solo per il Cav ma per chi crede, nel centrodestra, di poterne ereditare elettorato e funzione. Quello in uscita verso Renzi non è solo un travaso elettorale, ma (e sono sempre di più a sostenerlo) “culturale”: un’attitudine, una piattaforma, uno stile di fare politica rispetto al quale l’opposizione naturale – in quanto speculare – è quella di Grillo. Il Cavaliere, insomma, ha finito per dare a Renzi – in cambio del riconoscimento del ruolo di riformatore con consequenziale riabilitazione – l’investitura che non ha voluto concedere altrove (e non ancora a uno dei figli).
Rispetto a tutto questo Forza Italia da mesi è il caos: e l’uscita di personaggi di strettissima osservanza berlusconiana come Bonaiuti (nonostante i maligni sostengano che da tempo fosse stato messo da parte da Berlusconi) conferma il trend di chi non riconosce più il Berlusconi di sempre. Giuliano Ferrara, a proposito di chi sta abbandonando il Cavaliere, parla di «momento supremamente badogliano che tutti gli italiani cultori di storia e di memoria conoscono, e anche i non cultori s’accorgono che il topo sguscia via dalla nave che affonda. Non c’è da scandalizzarsi che nel seno del berlusconismo siano state allevate tante mezze tacche, tanti ruffiani, è sempre così, forse anche tra i compagni di Alessandro Magno, quando l’amicizia era la religione superiore dell’amore, anzi, senza forse». L’Elefantino si chiede retoricamente: «Che vogliamo farci? Che importa? Nulla». Per il momento. La cosa grave però – per i berlusconiani che restano – è se questo berlusconismo adesso sta bene altrove. E non nel centrodestra: ma dove piano simbolico e piano aritmetico parlano fiorentino.