Sarebbe inconcepibile pensare alla letteratura senza Ungaretti e al cinema senza Fellini, tanto quanto ad una città come Roma senza il suo storico Caffè della Pace. Non a caso, proprio Ungaretti e Fellini s’innamorarono di quel bar, simbolo della “dolce vita” capitolina, e dei suoi tavolini soleggiati tra le prodezze di Bernini e Borromini a fargli da cornice.
Sarebbe inconcepibile, si diceva, eppure in questi giorni per sfuggire all’irrealtà si è dovuti ricorrere alla mobilitazione di massa e ad un sit-in permanente, nella speranza che questo basti ad impedire al Caffè della Pace d’esser sfrattato per lasciare il posto ad un albergo a cinque stelle.
A difendere disperatamente il locale dalla sentenza di sfratto non ci sono solo gestori, dipendenti e clienti più affezionati, ma anche l’Associazione botteghe storiche, promotrice di una petizione con la quale sono state già raccolte 13.500 firme «che verranno consegnate al Sindaco Ignazio Marino nei prossimi giorni» – come ha annunciato Giulio Anticoli, presidente del Cna Roma. Di fronte allo sfratto esecutivo, emesso in data 20 Febbraio, e alla netta chiusura dimostrata dall’Istituto teutonico pontificio Santa Maria dell’Anima, proprietario del locale, resta una sola speranza alla quale appigliarsi, quella di un intervento straordinario, ovvero politico.
Proprio dalla politica, durante il sit-in, è arrivata la solidarietà sperata: dall’Assessore al Commercio di Roma Capitale, Marta Leonori, e dal I Municipio, con la partecipazione al presidio del Minisindaco Alfonsi e di Sergio Marchi, Capogruppo dell’opposizione. Lo stesso Marino, interpellato sull’argomento, ha ribadito «la necessità di evitare a tutti i costi la chiusura, per combattere la desertificazione di negozi e botteghe storiche sosterremo attivamente ogni sforzo per trovare in tempi rapidi e certi una soluzione a difesa di questo ritrovo dei romani, degli artisti e dei tanti viaggiatori che approdano nella città eterna, da affiancare all’iniziativa per la raccolta di 50 mila firme».