Quella di arte marziale è una definizione moderna entrata nel linguaggio comune con l’approssimarsi delle Olimpiadi di Tokio del 1964 quando il Judo divenne sport olimpico. E l’arte marziale resta un concetto ineluttabilmente associato alla tradizione orientale, a cui talvolta ci si volge con invidia, non trovando nella tradizione europea un corpus codificato in cui la preparazione al combattimento si sviluppi parallelamente a quella filosofico-spirituale. Le nobili tradizioni europee di boxe e savate preparano e perfezionano l’attitudine mentale, ma è una maturazione che avviene a livello implicito: necessità e conseguenza della preparazione fisica al combattimento.
A prima vista in Europa mancano quelle figure determinanti dei grandi maestri della tradizione marziale orientale e la loro capacità di tramandare la loro visione tecnico-spirituale in testi scritti. La visione di opere come Il Libro dei Cinque Anelli di Musashi e l’Hagakure di Tsunetomo che oggi raggiungono un’audience globale, citate (anche a sproposito) in ambiti ben lontani da quello marziali. Insegnamenti senza vincoli di spazio e di tempo.
Un grande merito filosofico, quello di questi grandi maestri nipponici, ma anche “facilitato” dal contesto storico in cui è maturato. La loro opera raggiunge questa fama anche per la lenta sublimazione in un contesto non solo quasi completamente impermeabile all’esterno, ma in cui l’evoluzione stessa della tecnologia bellica fu pressoché assente (nel Sol Levante, nel 1607 si riuscì persino a bandire le armi da fuoco, portando rapidamente alla loro estinzione). Le armi e l’addestramento di un samurai dell’epoca di Musashi rimasero sostanzialmente invariati fino a metà dell’800, quando il Giappone passò bruscamente dall’era feudale all’età moderna con l’imperatore Meiji.
Una condizione particolare (non dissimile quella cinese) completamente diversa da quella europea, in cui l’evoluzione del “mestiere delle armi” fu rapida e spietata. Evoluzione che contribuì ad obliare le opere e i trattati dei maestri d’arme europei coevi di Musashi e Tsunetomo. Tra il ‘500 e il ‘700 furono molti, specialmente in Italia, i maestri d’arme che codificarono in trattati sia la loro tecnica schermistica, che la loro visione spirituale e cavalleresca, in maniera non diversa da quella dei maestri giapponesi. Ad esempio il maestro italiano Saviolo, attivo a Londra, pubblicò nel 1595 un trattato in cui questo parallelo tecnico-filosofico era chiaro fin dal titolo: La Pratica di Vincenzo Saviolo: in due libri. Il primo che tratta l’uso della striscia e del pugnale. Il secondo dell’onore e delle questioni d’onore.
Maestri d’arme italiani noti e apprezzati all’epoca a livello europeo, ma oggi dimenticati. Eppure questa tradizione marziale nostrana poco avrebbe da invidiare da quella dei più noti Musashi e Tsunetomo. Per approfondirla, assieme al suo impatto europeo, si terranno a Roma, tra il 7 e il 9 marzo, le Giornate Internazionali della Scherma Storica.