Doveva essere un “governo Leopolda”. E invece è tutto un esecutivo Letta II questo Matteo I. Una continuità con il precedente tutt’altro che rivoluzionaria per il premier in pectore che oggi ha giurato al Quirinale assieme alla squadra dei suoi ministri. Si certo, nelle note si enfatizza il fatto che sarà un governo “snello” (Renzi ha scomodato il “De Gasperi III” segno di un’incontenibile voglia di battere primati statistici), “pieno di donne” e con qualche novità. Ma di cambiamento, di rottamazione, di cambio di marcia – almeno nel profilo dei suoi componenti – se ne vede ben poco.
Che cos’è se non continuità Angelino Alfano confermato all’Interno? E assieme a lui ben nove dei ministri precedentemente nella compagine Letta? Veniamo alle novità: che dire, poi, della casella più importante, quella dell’Economia, dove è stato nominato Pier Carlo Padoan: vicepresidente dell’Ocse, già consulente presso la Banca mondiale, la Commissione Europea e la Bce. Un tecnico che qualifica da subito con chi ha intenzione di interfacciarsi il nuovo governo; un tecnico – seppure un po’ politico dato il suo coinvolgimento nella fondazione ItalianiEuropei di Massimo D’Alema – che sembra rassicurare gli uffici internazionali che tengono sott’occhio Palazzo Chigi come si fa con un alunno insubordinato più che l’elettorato e il mondo del lavoro che è già sceso in piazza.
Si era già capito dai tanti “no” eccellenti che Renzi ha ricevuto in questi giorni (da Oscar Farinetti a Luca Cordero di Montezemolo, da Alessandro Baricco ad Andrea Guerra) le difficoltà del segretario del Pd a coinvolgere gli uomini e le donne a lui vicini all’interno dell’avventura di governo: troppe le opacità sulla genesi dell’incarico e, occorre dirlo, anche poco coraggio da parte di alcuni sostenitori del sindaco di Firenze nel momento della chiamata diretta. Assieme a questo, le pressioni dei grandi sponsor del segretario (De Benedetti in primis), il braccio di ferro con il Quirinale da una parte e quello con gli alleati della strana maggioranza hanno costretto Renzi nella per lui inedita veste di “mediatore”.
Tutto questo si è riversato nella scelta dei nuovi ministri: selezionati – come dimostrano le biografie (l’esponente delle Coop, la cuperliana, la Confindustriale, la renziana, la Madia che è stata un po’ tutto e così via) – più col manuale Cencelli che con il metro di quella “generazione Leopolda” che Renzi diceva di voler proporre. Ma c’è di più. La stessa conferma di tre ministeri al Nuovo centrodestra non rappresenta tanto saldare l’asse con Alfano quanto il fatto che Renzi non ha sfondato dove pensava di sfondare: sperava di ampliare la sua maggioranza, a sinistra e con i grillini e ciò a quanto pare non è avvenuto. Il risultato di tutto questo è, a prima vista, una riedizione di un governo di coalizione: stessa maggioranza, Economia in mano a un tecnico. Uno schema del “governo del presidente” che potrebbe rappresentare, inglobando lo stesso Renzi, l’ennesimo punto segnato da Giorgio Napolitano. Forse il vero rottamatore della politica italiana.
@rapisardant