«È permesso? Avanti, la bara è aperta». Con questa battuta sepolcrale, ma dal sapore ironico, inizia il nostro breve viaggio nel mondo dell’horror parodistico; un genere tanto amato da cinefili e vampiri in “vena” di spirito.
Se il cinema horror ha come obbiettivo quello di generare spavento, attraverso un cambiamento dello stato d’animo dello spettatore, quello dell’horror parodistico ha per missione quella di divertire attraverso una rivisitazione in chiave umoristica di un film o di un’opera letteraria o teatrale.
Ricordiamo trai tanti titoli: Il cervello di Frankenstein del 1948, divertente e validissima commedia con Gianni e Pinotto, con la presenza di autentiche star dell’Horror movie in bianco e nero come: Glen Strange (il mostro di Frankenstein), Lon Chaney jr. (L’uomo lupo), e l’immortale è il caso di dirlo Bela Rugosi il più celeberrimo succhia sangue di Hollywood.
Nel 1975 sarà la volta del brillante, spregiudicato e trasgressivo, The rochy picture show, riuscitissimo cocktail di horror, musical e commedia scritto e diretto da un geniale Jim Sharman.
Tutta da ridere la saga soprannatural domestica de La famiglia Addams che ha conosciuto vari adattamenti cinematografici, senza però eguagliare la serie originaria degli anni sessanta. Gli Addams resteranno per sempre delle icone d’un horror satirico che fa dell’umorismo noir il suo vero asso nella “bara”.
A ventuno anni di distanza il ritorno di Mel Brooks alla regia d’un demenziale Dracula morto e contento, che trova nei panni del nobile transilvanico un esilarante Leslie Neielsen.
Naturalmente il cinema nostrano, non poteva restare insensibile al fascino del genere: toccherà all’Esorciccio (1975), improbabile parodia per il siculo Ingrassia in salsa paranormale, far i conti col celebre The Exorcist, campione d’incassi e di tremarella del 1973.
In Fracchia contro Dracula (1985), Paolo Villaggio coadiuvato dall’inseparabile ragionier Filini, affronterà nientemeno che l’ennesimo conte Dracula in versione immobiliarista.
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Di nuovo una produzione stelle e strisce a chiudere l’irriverente carrellata: con Scary Movie 5 (2013), ultimo episodio della saga trash, scritto dalla coppia Zucker Proft.
Ma fra tutte queste pellicole, e le altre che si sono occupate a vario titolo del tema horror in chiave parodistica, una su tutte si segnala per assoluta genialità, e per perenne gradimento fra gli appassionati.
«Sono un chirurgo di una certa fama, posso fare qualcosa per la tua gobba?»
«Quale gobba?»
Avete già indovinato? Proprio così, è con Frankenstein Junior, il suo quarto film da regista, che Mel Brooks centra l’obiettivo, e non solo quello della telecamera. Il film da subito un grande successo di critica e pubblico, continua a piacere dopo quasi quarant’anni dall’uscita ai botteghini, anzi la sua fama sembra accrescersi col tempo.
Il film, che pare più d’una semplice parodia del celebre romanzo gotico della scrittrice Mary Shelley, ma se mai una riuscitissima rivisitazione in chiave umoristica, uscì nel 1975 e fu campione d’incassi.
Mel Brooks per girare la pellicola si ispirò a Frankenstein (1932), vero capolavoro del regista visionario James Wale (Il castello maledetto e La maschera di ferro).
Per omaggiare detto lungometraggio Brooks, decise di girare in bianco e nero, e di utilizzare inquadrature e transizioni tipiche degli anni venti e trenta, espediente quest’ultimo, poi ripreso in modo e circostanze diverse anche da George Lucas in Guerre Stellari.
La sceneggiatura, fu opera dello stesso Mel Brooks in concerto con Paul Oxon e Gene Wilder, ed è considerata, un capolavoro del suo genere.
Il film dotato d’un umorismo pungente e originalissimo, si segnala per azzeccate citazioni e frasi divenute celebri.
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Sorvolando sulla trama universalmente nota di questo cult movie, concentreremo invece il nostro caleidoscopio cinematografico sulle scene e le battute più memorabili, che forniscono la cifra dell’arte di Brooks, con una precisione inusitata anche per il critico più consumato.
«Si- può- fare!»
Motto dal sapore obamiano, con cui il dottor Frederik Frankestin alias Frankenstein, con tanto di capelli drizzati dal galvanismo, concepisce la reale possibilità del suo folle progetto.
Uno strepitoso Gene Wilder, con gli occhi spiritati, pronuncia questa frase faustiana sottolineata dall’immancabile rombo di tuono.
«Lupu ululà e castello ululì.»
Con questa battuta indimenticabile, Marty Feldman nei panni del deforme Igor, velata ma non troppo riproposizione del Quasimodo di Hugo, anima la scena in cui il giovane scienziato viene da lui trasportato unitamente alla sua assistente Inga su di un carro sgangherato.
«Il dottor Frankenstein?»
«Frankenstin.»
«Vuol prendermi in giro?»
«No. Si pronuncia Frankenstin.»
«Tu devi essere Igor.»
«No. Si pronuncia Aigor.»
Dialogo strepitoso basato su un gioco di malintesi linguistici, con cui Wilder e Feldman, scrivono una pagina memorabile nella storia della comicità. Ineguagliabile!
«Mai visti due così!»
« Oh, grazie dottore.»
Allusiva ed equivoca esclamazione di Frederik, alla vista dei battenti del portone del maniero, ma anche a quella del seno della procace assistente Inga.
Inga: «In altre parole le vene, i piedi, le mani, tutti gli organi dovrebbero essere ingranditi.»
Frederich: «Esatto.»
Inga: «Allora avrebbe un enorme schwanzstuck!»
Frederick: «Questo è evidente.»
Inga:«Oooh…»
Igor: «Diventerà molto popolare.»
Di nuovo una spassosissima allusione sessuale: una vera frecciata ai modelli machisti proposti dal cinema e dalla società.
Ma al di là dei dialoghi esilaranti e delle battute intramontabili, il film è anche un divertente omaggio ad altre opere letterarie e cinematografiche. Così il capo della gendarmeria locale, Kemp, ricorda nella sua rigidità motoria e nel suo tratto prussiano, il dottor Stranamore, mentre appare evidente il parallelismo tra l’improbabile storia d’amore tra il mostro e l’avvenente Elizabeth (già fidanzata di Frederik), e la fiaba de La bella e la bestia.
Tra gli stereotipi presi di mira dalla pellicola, v’è sicuramente quello dello scienziato pazzo, che crede di potersi sostituire alla mano divina, autentica allegoria d’un progresso scientifico pericoloso in quanto spinto all’estremo.
Qui si sconfina nella bioetica; ma già nella versione originale della Shelley, s’intravede il rischio d’un uso troppo disinvolto della scienza.
Sempre rimanendo in ambito scientifico, il film affronta anche se a suo modo, il problema morale relativo al trapianto di organi: è il caso del trasferimento tramite un ardito esperimento dell’intelligenza del dottor Frankenstein, nel mostro, allo scopo di salvarlo dall’ira d’una folla di villici inferociti. Trapianto che prevederà benefici indubbi per la creatura, che diverrà un fine erudito, ma anche per il giovane scienziato, che per la gioia della sua Inga, erediterà dalla creatura il suo formidabile schwanzstuck! (termine wagneriano indicante il pene)
Si potrebbe continuare, ma tanto basta per comprendere lo straordinario talento degli sceneggiatori, nonché la bontà dell’idea di base.
In conclusione Frankenstein Junior, oltre ad essere un film divertente, geniale, ben girato, con un cast straordinario, dotato d’una fotografia di livello assoluto e d’una trama a dir poco travolgente per comicità ed originalità, rappresenta una vera pietra miliare nella storia dell’horror parodistico. Insomma un film da guardare e riguardare, colla certezza di non stancarsene mai.