L’ironia dei numeri è spiazzante: Gianni Cuperlo, fino a poche ore fa presidente del Partito Democratico, si è dimesso proprio oggi, 21 gennaio. In tutte le sezioni del Pd quel giorno sul calendario è cerchiato di rosso perché ricorda due date fondamentali della sinistra italiana ed internazionale: è il compleanno del Partito Comunista Italiano, fondato a Livorno nel 1921, ed è l’anniversario della morte di chi, per farla breve, ha esaltato le teorie marxiste facendone un programma politico, Vladimir Lenin.
Gianni magari non ci ha pensato nemmeno, ma qualcuno gli avrà fatto notare la strana coincidenza: proprio lui era l’ultimo degli ex comunisti ad avere incarichi di rilievo nel luccicante Pd targato Matteo Renzi e adesso loro, cresciuti a pane, falce e martello, sono le prime vere vittime della rottamazione forzata. Cuperlo rappresentava l’ultima reazione ad un mondo in decadenza: funzionario di partito, tutelato da sezioni e militanti, ha lasciato perché offeso da un segretario sprezzante che gli ha rinfacciato la sua incapacità a raccogliere preferenze. Cuperlo era (ed è) l’apparato: l’uomo grigio che naviga nella politica con astuzia, cresciuto a Botteghe Oscure, studiando Enrico Berlinguer e dispensando consigli a Massimo D’Alema. Il suo addio alla poltrona meno ambita di un partito politico chiude una stagione lunga un secolo e mette la parola fine alla storia dei comunisti in Italia.
Lui (perché le coincidenze esistono e fanno paura) è stato anche l’ultimo segretario della FGCI – la vecchia federazione dei giovani comunisti. Eletto segretario alla fine degli anni ’80, ebbe l’ingrato compito di traghettare i piccoli compagni in una nuova fase politica, quella che passava dal rosso delle bandiere al marrone della quercia. Ha dovuto convincere frotte di adolescenti comunisti che il Pds era la scelta giusta e l’ha fatto con dedizione, non sapendo che la storia trent’anni dopo avrebbe presentato il conto. Già all’epoca, Cuperlo, era apparato: questo volevano al Partito e questo ha dovuto fare. La sua era una missione e lo spirito da volontario ha caratterizzato anche la sua uscita di scena: umile, ha accettato un ruolo che non era il suo, ci ha messo la faccia per salvare il possibile e si è schiantato contro la sfrontatezza del nuovo leader, quel Renzi che ha una storia tanto diversa dalla sua.
Oggi lascia e si porta dietro una storia politica simbolo di una stagione che non tornerà. Gli ex comunisti potranno solo ricordare, durante le feste di partito, quei giorni in cui loro facevano, lottavano e imponevano scelte ad italiani disarmati. Adesso, il loro tempo è passato per sempre e a chiudere la porta, per la seconda volta, è stato ancora lui: triste, l’ultimo comunista lascia quella carica che era di rappresentanza più che di sostanza e chissà che nella sua Trieste non possa riflettere con calma su cosa abbiano rappresentato, per tanti, quelle bandiere rosse.