Ci siamo, amnesia e retorica da «ultima ora» impazzano. Giornalisti, intellettuali e politici del «corretto» pensiero sono pronti a farci dimenticare l’immagine ambigua dell’ex oligarca Mikhail Khodorkovsky per sostituirla con l’icona di un nuovo Sakharov o di un novello Mandela pronto a guidare l’opposizione e a mettere alle corde Vladimir Putin.
Lui, conoscendosi, ha già declinato. Ma a fargli cambiar idea potrebbe arrivare un Nobel sulla fiducia, come quello regalato nel 2009 a Barack Obama. Il redivivo Mikhail ha, del resto, le carte in regola per piacere alla gente che piace. È perseguitato dal «cattivo» per eccellenza Putin. Ha subito un processo ingiusto. Può contare non solo sull’appoggio di Angela Merkel e dell’ex ministro degli esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher, ma anche di Henry Kissinger e di Lord Jacob Rotschild, membri garanti della Fondazione «Open Russia» da lui creata. Al pari del collega kazako Mukhtar Ablyazov, idolatrato in Italia, ma arrestato in Francia, o dell’ex premier ucraina Yulia Tymoshenko, sicuramente perseguitata, ma non indenne da una fatale attrazione per potere e denaro, l’ex oligarca ha le carte in regola per diventare l’eroe di un’Europa e di un’Occidente superficiali e distratti. Così distratti da dimenticare che la carriera dell’ «enfant prodige» Khodorkovsky non inizia tra le fila del dissenso russo, ma dai vertici del Komsomol, l’organizzazione giovanile usata dal Pcus per selezionare i futuri leader sovietici. Arrivato tardi all’appuntamento con la storia Mikhail si rifà sfruttando la perestroyka di Gorbaciov e i contatti con la «nomenklatura» per mettere in piedi la banca Menatep. Grazie alle leve di quell’istituto finanziario e alla vicinanza con Boris Eltsin il neppure trentenne Khodorkovsky riesce nel 1993 a farsi nominare vice ministro per l’energia e per il carburante. Quella nomina è il trampolino per il grande salto che gli consente nel 1995, di acquistare a prezzi da saldo (309 milioni di dollari) la Yukos, una compagnia petrolifera che controlla il 20 per cento dei pozzi russi e gli garantirà nel 2003 fortune personali per oltre 11 miliardi di euro. Ma l’oligarca non si limita ad accumulare i proventi dell’oro nero. In quei dieci anni corsari dalle casseforti della Menatep passano e scompaiono, tanto per citarne una, i 4,8 milioni dollari destinati dal Fondo Monetario Internazionale a una Russia in bancarotta dove – grazie a Eltsin e agli oligarchi- la popolazione riscopre la fame. Nel frattempo la pregiata Menatep di Khodorkovsky non si fa scrupoli a finanziare le operazioni militari ordinate nel 1994 da Eltsin per riconquistare la Cecenia secessionista. L’errore irreparabile arriva agli inizi del 2000 quando Mikhail deve fare i conti con un Putin appena transitato dalla poltrona di premier a quella di presidente. Per contrastare quel veterano del Kgb l’ex enfant prodige del Komsomol adotta una tattica tanto spregiudicata quanto suicida. Da una parte usa i fondi della Yukos per manovrare le elezioni per la Duma del 2003 e far confluire i voti su partiti di fiducia. Dall’altra vende le azioni Yukos a grandi compagnie estere come Exxon Mobil e Bp e si prepara a trasferirne gli asset all’estero trasformandola in un guscio vuoto. Da una parte, insomma, minaccia Putin sul lato politico, dall’altro lavora per sottrargli il controllo delle risorse energetiche e affidarle a mani straniere. Ma quelle risorse appartenevano anche a una Russia che negli ultimi dieci anni ha riscoperto, nonostante e grazie il pugno di ferro del nuovo Zar benessere e crescita senza precedenti. Per questo, nonostante le ingiustizie e i torti subiti, l’icona Khodorkovsky è destinata a restare una sventata e distratta illusione occidentale.
* da Il Giornale
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