Arrivano i “forconi”, ma i mass-media nazionali non ci fanno caso. O meglio, si limitano a evidenziare gli scontri con la polizia, i blocchi stradali, le presunte minacce ai negozianti che non volevano chiudere. A Torino, città da sempre considerata “laboratorio”, i dimostranti hanno picchiato duro. Non solo in termini di incidenti, che pure ci sono stati (14 feriti, un arresto), ma soprattutto perché sono quasi riusciti a paralizzare una metropoli e hanno ottenuto una notevole partecipazione alla loro protesta.
Ma c’era qualcosa di nuovo nella rivolta dei “forconi” (che a Torino, città certo non agricola, hanno preferito battezzarsi “veri italiani”). E’ scesa in piazza l’Italia che di solito non lo fa. Pochi studenti, pochissimi lavoratori dipendenti, nessun sindacalista, niente centri sociali né militanti di partito. A marciare e insultare la “casta”, le banche e gli euroburocrati con cori da stadio c’era un variegato popolo di commercianti, ambulanti, trasportatori, agricoltori, taxisti, piccoli artigiani e precari con significativa presenza di disoccupati, sottoccupati e marginali vari.
C’erano anche gli ultras, è stato detto. E a giudicare dagli slogan e dalle tattiche di micro-guerriglia urbana è possibile. Un’Italia diversa, non irreggimentata. Non c’erano capi né servizio d’ordine. Forse simile al popolo dei bonnet rouges francesi. Invece dei classici slogan carichi di ideologia si sentiva invocare “Italia, Italia” e si potevano udire gruppi di persone che intonavano l’inno di Mameli.
Per un po’ sono stati lasciati a briglie sciolte, giacché molto stranamente in giro non si vedevano vigili né poliziotti né carabinieri. Quasi volessero farli sfogare. O, peggio ancora, cercare il pretesto per la carica. Poi, in piazza Castello, in pieno centro, sono scoppiati gli incidenti.
Sulla questione dei “forconi” la politica italiana brilla per latitanza. Forse i politici pensano che sia una protesta destinata a smorzarsi in breve tempo, forse non interessa il destino di milioni di italiani a rischio povertà. A parte rari casi, da chi dovrebbe impugnare il forcone in Parlamento (destre varie, M5S, Lega Nord) giunge invece un assordante silenzio, quando non una generica condanna per le violenze e la sempreverde solidarietà alle forze di polizia. Eppure le condanne stizzite che arrivano da chi è abituato a egemonizzare le piazze, cioè la sinistra di varia colorazione (dagli antagonisti ai comunisti del Prc, dai “viola” ai piddini e vendoliani) dovrebbe dirla lunga sulla direzione che sta prendendo l’ondata di protesta.