I Forconi hanno invaso le piazze d’Italia. Torino, Genova, Treviso, Palermo, Catania, Napoli, Ferrara, Benevento, Roma, Milano, Bari, Arezzo ma anche piccoli centri e snodi autostradali: da Sud (dov’è nata nel 2012) al Nord la protesta generalizzata contro il governo, le tasse e il carovita è letteralmente esplosa. Tricolori, cartelli in mano e megafono: così l’Italia profonda è scesa in piazza in un inedito schema che è “uscito dagli schemi” a cui siamo stati abituati negli ultimi anni.
Pochi i (temuti e vietati) blocchi stradali, molti rallentamenti nelle città e, da parte dei manifestanti, idee chiare su quali siano le istituzioni su cui riversare la protesta: le sedi di Equitalia su tutte. Nonostante l’allarmismo, però, le manifestazioni si sono svolte in maniera pacifica. Solo a Torino si sono registrati scontri tra polizia e manifestanti davanti il palazzo della Regione mentre a Genova sono stati occupati i binari della stazione. In generale, però, la situazione è rimasta sotto controllo proprio come gli organizzatori avevano promesso. Una protesta – questa del nove dicembre – annunciata più sui siti indipendenti e i sui social che sui grandi media che hanno minimizzato in questi giorni la portata di un evento che si è alimentato con il passaparola. Il risultato è stato sorprendente in termini di partecipazione e interessante in ragione dell’eterogeneità delle categorie e delle peculiarità sociali scese in piazza.
“Forconi” oggi sono stati praticamente tutti: dai piccoli imprenditori ai disoccupati, dai commercianti agli studenti, dagli allevatori agli autotrasportatori. Il collante che ha tenuto insieme questa protesta interclassista è – come si legge in tanti striscioni – la richiesta di una minore oppressione fiscale, di una difesa del made in Italy a tutti i livelli, ma soprattutto la volontà di recuperare la sovranità politica ed economica dell’Italia. La scelta del tricolore come unico simbolo ammesso nei cortei sta a dimostrare proprio la rabbia popolare contro il «far west della globalizzazione» e «contro l’Europa costruita a Bruxelles».
Insomma, al grido di «riprendiamoci l’Italia» e «non suicidarti, ribellati» quello che è andato in scena oggi si può chiamare un movimento impersonale e sinceramente nazionalpopolare. Un movimento non sindacalizzato, non politicizzato e senza “sponsor” cercati nelle proteste liberal. Forse per questo rispetto ai comitati spontanei da parte di una certa stampa e dei politici affezionati alle larghe intese è stato alimentato in questi giorni l’allarme legato a infiltrazioni politiche: perché disabituati ad accettare che possa emergere un malcontento trasversale e slegato alle normali camere di compensazione sociale come i sindacati.
Da questo punto di vista esemplificativo lo sfogo di Mariano Ferro, leader dei Forconi siciliani: «Siamo in uno stato di polizia, non è possibile scioperare come possono fare invece i sindacati». Ferro ha detto ciò replicando al ministro Maurizio Lupi: «Dice che la nostra protesta non è legittima, ma lui, dopo la sentenza della Consulta sul porcellum, si è chiesto se è legittimato?». Proprio il governo, allora, sembra essere il prossimo obiettivo del movimento: l’appuntamento della protesta ad oltranza è fissato per mercoledì quando si voterà la fiducia a Letta: «Se sarà votata la fiducia al governo – promette Danilo Calvani, altro rappresentante dei Forconi – ed i politici non andranno via, tutti convergeranno su Roma per un’invasione pacifica».
@rapisardant