Dieci anni. Tanti ma pochi per chi in quel 12 novembre 2003 perse un proprio caro. Nassiriya, Base Maestrale, un camion imbottito di esplosivo fa strage di italiani. Carabinieri, soldati e due civili. Diciannove vittime morte per il Tricolore, diciannove uomini che non meritano una medaglia. Onorati come eroi, pianti da tanti come simbolo dell’Italia migliore, celebrati con vie e piazze a loro intitolate in migliaia di città e paesi, non meritano il massimo riconoscimento che si deve agli eroi: la medaglia d’oro. Stessa sorte agli altri militari caduti in missione in Iraq, sono stati cinquanta e a quelli morti in Afghanistan, 52 in tutto.
Ancora una volta il sentimento della gente e quella dei politici è lontano anni luce. Eppure i politici, di ogni colore, non smettono di celebrare quelle vittime e di riempirsi la bocca di vuota retorica. Quattro ministri della Difesa si sono alternati in questi anni, tra essi persino un militare, e nessuno ha trovato il modo di colmare questa lacuna profonda quanto un abisso. Nonostante le infinite sollecitazioni dei familiari scandalizzati e offesi dalla medaglia d’oro conferita al contractor Fabrizio Quattrocchi ucciso in Iraq dove era andato di sua spontanea volontà a fare il mercenario. Come non ricordare la parole del figlio del brigadiere dei carabinieri Domenico Intravaia : «Non capisco perché ai nostri caduti a Nassiriya venga ancora negata la medaglia d’oro al valor militare» e dalla signora Paola Cohen, vedova del maresciallo dei carabinieri Enzo Fregosi, entrambi caduti nel citato attentato di Nasiriya. «Sono incredula e amareggiata – dichiarò la vedova dell’eroe di Nassiriya -. Non ho nulla contro Quattrocchi, anzi. Ma noi stiamo conducendo questa battaglia da due anni e mezzo senza ottenere risposte. Mi sento presa in giro. A noi non interessa il lato finanziario della vicenda perché non vogliamo la medaglia d’oro per ottenere il vitalizio, ma per avere un riconoscimento perenne a chi è morto mentre serviva il proprio Paese e contribuiva a far rinascere la democrazia in Iraq. Ai nostri carabinieri non è stato dato niente e a Quattrocchi la medaglia d’oro. È un’assurdità».
Vicino a loro solo l’Arma che non cessa di sostenerli. Così l’affetto di tanti italiani ma solo vuote parole della politica. Quisquiglie burocratiche, sofismi da interpreti di norme antiche, la legge sul conferimento della medaglia d’oro è del 1932, sono state usate per giustificare questo sgarbo alla memoria delle vittime e al ricordo dei vivi. E sopra a tutto l’alibi dell’impegno umanitario come se questo non comportasse, e ancora oggi comporti, pensiamo all’Afghanistan, il rischio della vita. Per le vittime di Nassiriya, per quei carabinieri e soldati eroi solo la Croce d’onore. Medaglia d’oro come benemerito della cultura e dell’arte per i carabinieri Massimiliano Bruno e Alfio Ragazzi, ma questa è altra storia. Le legge va cambiata. I tempi sono cambiati ora c’è la guerra asimettrica, il martirio suicida con autobomba che colpisce indiscriminatamente, rifarsi a una norma che risale al secolo scorso è ridicolo. E oltraggioso. Ma tanto sgarbo non fa certo indietreggiare i carabinieri.
Nassiriya, quel 12 novembre 2003, ha segnato un’altra sanguinosa pagina nella storia lunga due secoli dei carabinieri e ne ha rafforzato lo spirito e accresciuto l’impegno. Oggi, a dieci anni dal quel tragico mattino sono 300 i carabinieri impegnati all’estero in zone a rischio. Un contributo di impegno per dare sicurezza, stabilità e futuro a tanti Paesi. I carabinieri sono impegnati in Kosovo dove con la loro presenza garantiscono la quotidiana vita civile interponendosi tra le etnie serba e albanese. Sono in Libia come istruttori nella rinnovata polizia nell’era post Gheddafi. E ancora in Somalia dove, nell’ambito della European training mission preparano le forze di sicurezza di quel Paese. Cento carabinieri sono ancora in Afghanistan ad addestrare la polizia locale, un lavoro ad alto rischio: la base di Adraskan è stata più volte attaccata dai talebani e non sono mancati feriti tra i nostri carabinieri. Ogni giorno, con il ricordo e l’esempio nel cuore di quei colleghi, martiri a Nassiriya, tanti altri carabinieri svolgono la loro missione nel Caucaso, in Georgia, a Gaza, a Hebron in Csigiordania, a Cipro. Dovunque vengano chiamati a compiere il loro dovere e tenere alto il tricolore. Anche in queste missioni si contano vittime e feriti. Ma, se qualche carabiniere non torna, la politica sa solo tirar fuori dal cassetto frasi di circostanza e qualche imbecille inneggiare a “Cento mille Nassiriya”.
I cittadini per bene, però, sanno che sui carabinieri ci sono possono contare, anche quando sono all’estero, perché anche in quei luoghi lontani lavorano per dare sicurezza a chi rimane in Italia. Dieci dopo Nassiriya è arrivato il momento di dare il giusto riconoscimento a quelle vittime.
* da Il Tempo