Icona. Dal greco eikòn (participio perfetto di orào, “vedere”), traducibile come “essere simile”, “apparire”. Icona dunque come immagine che appare e che, nella sua epifania, rivela un mondo. Dapprima il mondo della cristianità delle origini e dell’ortodossia orientale. In seguito, nella cultura pop dominante, l’universo di modelli e stili pervasivi del vivere sociale. Icona rimane comunque un modello ed un’immagine; un simbolo allusivo, dunque, di un immaginario collettivo radicato. Nell’arte moderna e contemporanea, di icone ve ne sono molte. Di estremo interesse risulta analizzare quelle relative alla ritrattistica più recente. I volti si imprimono in immagini estreme, sintesi di andamenti culturali, sociali e spirituali complessi e forieri di mutamenti decisivi di paradigma. I volti, icone di identità soggettive ma ancor prima collettive, risultano sfaldati nella modernità liquida che ha ormai messo in discussione i fondamenti su cui da sempre si era retta la ritrattistica tradizionale: lo sfaldamento dell’io legato all’avvento della psicoanalisi, il soggettivismo diffuso nelle arti, la negazione filosofica dei principi di realismo, la comparsa della fotografia, la negazione dell’individuo operata dai totalitarismi, il suo livellamento nelle masse egualitarie democratiche e la spinta all’astrazione sono tutti elementi che concorrono alla negazione del volto umano e della persona (termine che in latino – si badi – significa “maschera”). Nonostante questo, “cresce all’epoca una sorta di frenesia a farsi fare il ritratto, come – scrive il conservatore del Centre Pompidou di Parigi Jean-Michel Bouhours – per far entrare se stessi in una vertigine di ubiquità e di istantaneità dettate dai media contemporanei: l’immagine della propria immagine si è imposta”.
Ad indagare tale affascinante questione, insieme artistica e filosofica, interviene una prestigiosa esposizione allestita presso il milanese Palazzo Reale e curata dallo stesso Bouhours.
La mostra, intitolata “Il volto del ’900. Da Matisse a Bacon. Capolavori del Centre Pompidou”, è aperta al pubblico nella storica sede meneghina, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, sino al 9 febbraio 2014. L’esposizione è promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, MondoMostre e Skira editore in collaborazione con il Musée National d’Art Moderne – Centre Pompidou di Parigi, e presenta oltre ottanta ritratti e autoritratti, capolavori di artisti celebri come Matisse, Modigliani, Magritte – il cui celeberrimo “Lo stupro” è l’immagine simbolo della rassegna –, Severini, Bacon, Delaunay, Derain, Max Ernst, Mirò, De Chirico, Picasso, Giacometti e Tamara de Lempicka.
Tema centrale della mostra è lo sviluppo del ritratto nel Novecento, in consonanza con i nuclei tematici sopra rilevati. Sette sezioni conducono il visitatore in un viaggio in cui la potenza espressiva dei ritratti femminili di inizio Secolo si avvicenda ad autoritratti ormai storici, come quelli di Severini e di Bacon; un itinerario in cui lo sperimentalismo del Formalismo e l’onirismo del Surrealismo preludono per contrasto dialettico da un lato al riemergere di tentativi realisti in relazioni intricate con la fotografia, dall’altro lato ad opere ove la disintegrazione del soggetto è obiettivo radicalmente perseguito.
Stretto fra un’origine trasfigurante, in quanto sorto per abbattere la mortalità e rivelare il riverbero del divino trascendente nell’immanenza umana, ed una moderna funzione di grimaldello ideologico atto a stupire l’osservatore e ad indurlo a ripensare il concetto stesso di arte, il ritratto appare oggi al centro di dinamiche intrecciate ed imprevedibili. Comprenderne la provenienza e la genalogia è un primo passo per affacciarsi alla manifestazione delle sue forme prossime e venture.