Il regista Pupi Avati e lo storico Franco Cardini (tra l’altro direttore del Nodo di Gordio); Gianpaolo Pansa e Roberto Napoletano; Pier Francesco Pingitore e Graziano Diana. E poi scrittori e storici come l’ambasciatore Maurizio Serra, come Ottavio Barié, Giuseppe Marcenaro, Dario Fertilio. Sono i premiati dell’annuale appuntamento con l’Acqui Storia, il più prestigioso premio europeo in ambito storico. E dunque, essendo prestigioso, praticamente ignorato dall’assessorato alla Cultura del Piemonte (in mano al Pdl-Forza Italia) che concede una sempre più misera elemosina.
D’altronde i premiati non sono stati indicati dal direttorio che guida, con ferrea egemonia rosso-azionista, il Salone del Libro di Torino e che incassa lauti finanziamenti regionali. E tra i premiati – che non hanno tessere in tasca e non rappresentano quel pericolo nero che tanto spaventa la Di Girolamo – non figura neppure qualche guru del mondo dei dj, più apprezzato in assessorato rispetto ad una cultura storica non sempre allineata ai gusti degli dei del Salone del Libro. Dunque meglio tagliare i finanziamenti, per riservarli alle iniziative politicamente corrette, ai progetti che entusiasmano la sinistra autoreferenziale, agli autori indicati dalla nomenklatura. Agli amici degli amici, insomma. Ai soliti noti, ma noti soprattutto nei salotti della gauche caviar. Decine e decine di migliaia di euro spesi per due giorni di inutili “Portici di carta” e per 5 giorni di esibizione a Francoforte di alcune case editrici, senza dimenticare la folle iniziativa negli Stati Uniti. Mentre i soldi vengono tolti all’unica libreria torinese riservata agli editori piemontesi, provocando la chiusura della libreria ed il taglio di posti di lavoro. I soldi son solo per loro, per il mondo degli amici degli amici. E che gli altri si arrangino o, ancor meglio, spariscano. E invece no.
Un Comune di non grandi dimensioni come Acqui riesce non solo a non far sparire gli storici da premiare sulla base della qualità e non della correttezza politica; ma riesce anche a far convergere sulla città registi, giornalisti famosi, autori di spettacoli teatrali. Perché, a volte, l’intelligenza sopperisce alla mancanza di fondi. Mentre i fondi non sempre riescono a sopperire alla mancanza di intelligenza e di cultura. Ma l’intelligenza fa paura. Agli avversari politici, che non sono più abituati ad essere contrastati sul loro campo preferito, quello culturale. E si innervosiscono, quando devono ammettere il successo di iniziative senza il loro imprimatur. Ma l’intelligenza fa paura anche agli alleati politici che si scoprono carenti, inadatti, incompetenti. E, dunque, cercano in ogni modo di penalizzare iniziative di successo nel terrore di venire scavalcati, messi da parte. Un rischio inesistente, perché questa politica italiana preferisce premiare gli inetti, che non creano problemi e che, vista la qualità, non possono far ombra proprio a nessuno.