Hanno “annunciato” le dimissioni. Così i deputati del Pdl-Forza Italia oggi hanno sottoscritto un impegno ufficiale qualora il 4 ottobre si dovesse votare in Giunta per l’uscita dal Senato di Silvio Berlusconi. Un impegno concordato dopo la seduta di ieri del “consiglio di guerra” del partito con Berlusconi che ha chiamato tutti i suoi a raccolta per definire la scaletta di una crisi della maggioranza contro «il colpo di Stato di magistratura democratica» . Con questa mossa, dunque, si è aperta ufficialmente la fase più difficile del travagliato governo Letta.
Il Quirinale, da parte sua, ha replicato con una nota durissima alle parole del Cavaliere: «Non posso che definire inquietante l’annuncio di dimissioni in massa dal Parlamento – ovvero di dimissioni individuali, le sole presentabili – di tutti gli eletti nel Pd. Ciò configurerebbe infatti l’intento, o produrrebbe l’effetto, di colpire alla radice la funzionalità delle Camere», ha scritto Napolitano, indispettito e sorpreso dall’accelerazione del centrodestra. Nessuna “minaccia” viene accettata dal Quirinale. E, anche qui, Napolitano non ha rinunciato a dare indicazioni precise: «Non meno inquietante sarebbe il proposito di compiere tale gesto al fine di esercitare un’estrema pressione sul Capo dello Stato per il più ravvicinato scioglimento delle Camere. C’è ancora tempo, e mi auguro se ne faccia buon uso, per trovare il modo di esprimere – se è questa la volontà dei parlamentari del Pdl – la loro vicinanza politica e umana al Presidente del Pdl, senza mettere in causa il pieno svolgimento delle funzioni dei due rami del Parlamento».
Insomma, ogni tipo di pressione da parte di Berlusconi viene rispedito indietro. Ma perché – si chiedono in molti – questa minaccia dell’ex premier dopo giorni di moderata tranquillità? Ancora una volta un ruolo non indifferente l’ha avuto la stampa: per l’esattezza il Corriere della Sera che proprio ieri faceva filtrare la notizia di diverse procure che sarebbero pronte a scagliarsi contro Berlusconi una volta decaduto. Allo stesso tempo bastava leggere la prima pagina di Repubblica di ieri per accorgersi di come sul capitolo Imu si svelava una sorta di operazione “camuffamento” da parte di Letta e soci.
Tutto questo avrebbe convinto Berlusconi dell’esistenza di un ulteriore trappola ai suoi danni. Di qui la decisione di lanciare un “penultimatum” a Napolitano: se cado io cade Letta. Uno scenario da brividi per il premier in carica che, al rientro dagli States, dovrà vedersela anche con il capitolo Telecom e Alitalia. Da parte sua il Letta – che non ha intenzione di farsi chiamare, come lui stesso ha minacciato, “Jo Condor” – starebbe già preparando la sua exit strategy. Fonti di palazzo Chigi hanno fatto sapere infatti che il premier è intenzionato a convocare una verifica del governo al suo rientro. Ma c’è chi dice che potrebbe anche dimettersi prima per evitare di farsi logorare ancora da una situazione che mina quella “stabilità” elevata da tempo a rango di contrafforte.
A complicare il quadro poi ci si mette anche il pallottoliere. Se nei prossimi giorni il governo Letta dovesse cadere, gli italiani nel 2014 si troverebbero a pagare 9,4 miliardi di tasse in più, 7,2 dei quali in capo alle famiglie. A spiegarlo è la Cgia di Mestre. Secondo i calcoli, infatti, in caso di dimissioni dell’esecutivo nel 2014 gli italiani potrebbero subire una vera e propria stangata. Tra il ritorno dell’Imu sulla prima casa e l’aumento dell’Iva (dal 21 al 22%) che scatterebbe dal primo gennaio, si troverebbero a pagare 9,4 miliardi di euro in più. L’aggravio medio annuo per ciascun nucleo si aggirerebbe introno ai 280 euro. Un tema, questo, che di certo sarà materia di scontro politico. Probabilmente di campagna elettorale a questo punto.