«Eccola la prossima guerra che ci attende, si avvicina, già incombe, da una parte l’Occidente, noi, dall’altra l’Islam radicale determinato a vendicare i secoli dell’umiliazione, a ricostruire con i soldi dell’Arabia Saudita e del Qatar, grande invincibile, la terra del vero dio. Oggi ad essere colpita è Nairobi, e a colpire sono gli shebab. Domani sarà la Tunisia, la Siria, l’Egitto».
Potrebbero essere parole di Oriana Fallaci, invece sono state scritte da Domenico Quirico, l’inviato della Stampa miracolosamente tornato a casa dopo cinque mesi di prigionia in Siria, ostaggio delle milizie ribelli e di predoni comuni. La prosa è un po’ enfatica, come spesso accade ai “conversi”. Fino a pochi giorni prima del sequestro, infatti, Quirico era un dichiarato sostenitore della rivolta siriana anti-Assad, così come lo era stato, in generale, delle cosiddette “Primavere arabe” in Tunisia, Libia ed Egitto.
Dopo l’orribile esperienza siriana ha cambiato idea e da uomo intellettualmente onesto qual è, l’ha ammesso subito: «La rivoluzione siriana mi ha tradito», sono state le sue prime parole al ritorno in Italia. Ora denuncia al mondo gli orrori del fondamentalismo islamico e il disegno egemonico delle formazioni armate legate all’estremismo sunnita, finanziate (ormai lo si dice chiaramente) dai petrodollari dell’Arabia Saudita, del Qatar, della finanza islamica vincolata agli sceicchi del Golfo.
Bene, finalmente c’è chi apre gli occhi. Meglio tardi che mai. Però c’è qualcosa che non torna. Non nel pensiero di Quirico, ma nelle posizioni assunte negli ultimi anni dall’Italia, dall’Europa e soprattutto dagli Stati Uniti. Se ormai è chiaro come il sole che le “primavere arabe” sono state il grimaldello per far saltare la sovranità di tutta una serie di Paesi dell’area nordafricana e mediorientale e aprire così le porte all’islamismo radicale, come mai gli sponsor di quest’operazione – oltre agli sceicchi sauditi – sono stati gli Usa, la Francia, la Gran Bretagna?
È stata solo ingenuità (in politica estera Obama si sta rivelando un dilettante allo sbaraglio) oppure sotto c’è qualcos’altro? Far cadere uno dietro l’altro i vari raiss arabi laici come Saddam Hussein, Gheddafi, Ben Alì, Mubarak (anche se in questo caso c’è stata una clamorosa retromarcia con il recente golpe militare) e tentare di fare lo stesso con Assad in Siria, non equivale forse ad assecondare il disegno strategico totalitario dell’Islam radicale si cui parla Quirico?
E come far coincidere la guerra al terrorismo islamico, lanciata in pompa magna da George W. Bush ormai dodici anni fa invadendo Iraq e Afghanistan, con la solida e duratura alleanza politico-economico-militare stretta con l’Arabia Saudita e il Qatar, che di quel terrorismo sono i principali sostenitori e finanziatori, ormai neppure più tanto occulti? Giova ricordare, en passant, che il famigerato Osama bin Laden apparteneva a una nobile famiglia da decenni in affari con la stirpe dei Bush (petrolieri texani), aveva studiato in Occidente, era stato finanziato e aiutato dalla Cia a mettere in piedi la sua organizzazione di mujahidin islamici che combatteva i sovietici in Afghanistan e ha sempre mantenuto relazioni molto chiacchierate con le oligarchie saudite.
Quindi i casi sono due: o l’Occidente (Usa ed Europa) da una ventina d’anni si fa prendere per il naso dall’islamismo radicale e inconsapevolmente finanzia e sostiene il proprio futuro carnefice (gli insorti siriani che vediamo sgozzare e decapitare nemici e sacerdoti cristiani sono armati di tutto punto dai servizi segreti britannici e americani), oppure l’apparente suicidio dell’Occidente nasconde inconfessabili interessi di altro genere, che noi possiamo solo immaginare.
Per finire due parole sull’Italia, che in questo “grande gioco” conta come il due di picche e, se continua così, in futuro conterà ancor meno. Poco importa chi sia al governo, se Berlusconi, Prodi, D’Alema o l’ondivago Letta: la costante della nostra politica estera degli ultimi vent’anni è di agire come Tafazzi, facendoci del male. Eravamo il primo partner economico della Libia, Paese con il quale esisteva persino un trattato di amicizia che ci vincolava ad aiutarlo in caso di aggressione militare: siamo andato a bombardarlo (ma l’Italia, si sa, da cent’anni non finisce una guerra dalla stessa parte in cui l’ha cominciata…).
Stesso discorso per la Tunisia, vicino di casa al quale abbiamo risparmiato i bombardieri, ma che abbiamo lasciato scivolar via dalla nostra sfera d’influenza verso una progressiva islamizzazione. E la Siria? Prima dell’embargo importavamo metà del petrolio di Damasco, vendevamo lusso, alimenti e vincevamo appalti per trivellazioni. Se cadrà Assad, a chi credete che andranno gli appalti miliardari con la nuova Siria islamica?
@barbadilloit