Le parole dell’amministratore delegato di Telecom Italia (“Italia” per poco) Franco Bernabè, il giorno dopo la svendita di Telecom agli spagnoli di Telefonica, sono inquietanti e indicative allo stesso tempo. Prima il sofisma: «Telecom non è diventata spagnola». Ma il punto più importante è quando l’ad si scaglia contro chi si indigna solo adesso, a cose fatte: «Per arrivare a scelte differenti dovevamo tutti quanti pensarci prima – ha attaccato durante l’audizione al Senato -. Se il sistema Italia fosse stato davvero così preoccupato del futuro di Telecom, come si è dimostrato in questi ultimi due giorni, forse sarebbe stato possibile un intervento più strutturato. Questo straordinario interesse per Telecom non mi sembra il sentimento che ha ispirato finora il sistema Italia. Se si parla di sistema sarebbe stato necessario un consenso più unanime e organico sugli obiettivi di Telecom».
Parole che – al di là della responsabilità di chi dirige un asset del genere – indicano il livello di sciatteria diffusa e i responsabili a tutti i livelli nella gestione del destino industriale italiano. Non è un caso, a proposito, che Enrico Letta, in “missione” negli States proprio per proporre affari per l’Italia, solo martedì prossimo riferirà in Aula sull’accaduto. Il premier, insomma, non ha reputato di dover rientrare prima in Italia per affrontare le legittime richieste di spiegazione. Anzi, proprio ieri Letta ha alzato le mani sulla questione così: «Bisogna considerare che Telecom è una società privata», “dimenticando” a quanto pare il principio dellagolden share – il potere di uno Stato anche rispetto un’azienda privatizzata quando arriva un acquirente straniero.
Anche a livello politico non mancano responsabilità, incongruenze e ricostruzioni storiche parziali. Protagonista, in questo caso, il Pd che si straccia le vesti sul caso Telecom – «svendita del nostro patrimonio nazionale inaccettabile» hanno tuonato capigruppo ed esponenti democratici – dimenticando forse come proprio quel patrimonio fu privatizzato e poi tolto dal controllo del Tesoro rispettivamente da Romano Prodi e da Massimo D’Alema: due massimi esponenti del centrosinistra di governo e del Pd in particolare.
Ovviamente la parte del leone (in negativo) la fa la classe dirigente dell’imprenditoria italiana – tra “famiglie” e “capitani coraggiosi” – che ha dimostrato di non saper né voler gestire tanto Telecom quanto altre importanti aziende, utilizzando i soldi delle banche per acquisire per poi vendere dopo aver scaricato sull’azienda stessa i debiti. Un circolo vizioso – questo tra privatizzazioni, cattiva impresa e mancato ruolo della politica – che ha portato anche il settore delle telecomunicazioni (dove l’Italia era leader) fuori dalla nostra giurisdizione. «Telefono casa…»? Non più.