Un geranio, un adesivo, un biglietto ferroviario. Ci si figurerebbe altre immagini per evocare l’Alto Adige e la tutela dell’identità italiana lungo la frontiera, ma ad adoperarle – ognuna con una valenza simbolica, utile anche ad attribuire un “colore” al ritratto del territorio – sono i politici più rappresentativi del gruppo linguistico italiano appartenenti a quell’”area di destra” (di confessione ex Msi – An) in pezzi anche nell’alto Trentino.
Barbadillo.it ha sentito i vertici territoriali delle quattro formazioni figliate dai partiti di Almirante e di Fini, due delle quali espressione di soggetti nazionali e altrettante frutto di iniziative politiche tutte altoatesine. Giorgio Holzmann (deputato, Fratelli d’Italia), Mauro Minniti (consigliere provinciale, La Destra), Alessandro Urzì (consigliere provinciale, L’Alto Adige nel cuore) e Donato Seppi (consigliere provinciale, Unitalia – Movimento Iniziativa Sociale) ci hanno raccontato la difesa dell’italianità attraverso immagini, iniziative ed esperienze personali. Voci filtrate attraverso il travaglio di un’area incapace di ricomporsi anche a causa di una legge elettorale – proporzionale pura – che incoraggia il frazionamento funzionale alla conservazione di “rendite”.
Il 27 ottobre prossimo gli elettori altoatesini sono chiamati a rinnovare l’assemblea provinciale e a eleggere il successore di Luis Durnwalder, “ras” della Südtiroler Volkspartei in sella da 24 anni. Non a caso. Un’altra peculiarità di questa frontiera sta nel fatto che la partita elettorale si giochi esclusivamente sul numero di seggi che SVP (vincente in partenza) e forze restanti andranno a raccogliere. Non è in discussione chi si assicurerà il ruolo di comandante in capo della giunta di questa ricca autonomia (nello specifico, l’erede designato di Durnwalder è Arno Kompatscher, un “Renzi” in salsa sudtirolese, 42 anni, alla testa del Consorzio dei comuni della provincia).
L’Alto Adige conta poco più di 500mila abitanti e la ripartizione linguistica fra gruppi vede la maggioranza germanofona attestarsi attorno al 70% dei residenti; gli italiani si fermano al 20% e i ladini – minoranza esigua – al 5. Queste cifre, però, sono viziate dagli effetti della “proporzionale etnica”, rigido principio regolatore della vita professionale/sociale di ogni altoatesino. La “proporzionale”, nella sostanza, impedisce anche all’italiano più meritevole, candidato a ricoprire un posto messo a concorso nel pubblico impiego, di aggiudicarsi l’incarico “in palio” in ambito sanitario, scolastico, amministrativo: chi la spunterà – a parità di risultati – sarà sempre un altatesino di lingua tedesca, in quanto appartenente al gruppo a cui “in proporzione” l’ente attribuirà i posti previsti dal bando. Quelle percentuali, in definitiva, sono condizionate dall’esito di autocertificazioni di appartenenza all’atto della compilazione delle quali “non conviene” dirsi legati a Roma.
“Italiani stranieri in patria”: evidentemente non c’è retorica, né traccia di nazionalismo esasperato, in questa etichetta che ben sintetizza lo stato degli altoatesini di lingua italiana. Solo per portare un esempio, continua a infuriare – nessuna sorpresa per la storia del territorio – la battaglia sul bilinguismo della toponomastica di cui Barbadillo.it si è già occupato in una riflessione del mese scorso: è, questa, una querelle simbolo di una provincia così benestante e “diversa” che una “questione identitaria” arriva a fagocitare le doglianze sulla crisi che piaga il Paese.
Perché un geranio, un adesivo e un biglietto ferroviario, allora? Il “paradosso del geranio” ce lo illustra Alessandro Urzì (ex An, transitato da Pdl e Fli prima di dar vita alla formazione locale “L’Alto Adige nel cuore”). “Il geranio – dice – è il sigillo floreale del territorio, riflette i colori dello stemma provinciale, addobba le nostre residenze alpine, è l’emblema “turistico” del benessere altoatesino. E però – aggiunge – per gli italiani la vita qui non è così perfetta come la faccia di un geranio. I servizi sono di qualità, è innegabile, ma – conclude – il “sistema integrale di autonomia” voluto dal gruppo linguistico tedesco fa sì che gli italiani si sentano un corpo estraneo”.
L’immagine dello sticker la evoca Donato Seppi, missino di lungo corso a capo di un movimento che nel ’96 nasce in opposizione alle tesi di Fiuggi. Vicino a Pino Rauti (anche nell’estetica del logo, in cui campeggia una fiamma in bella mostra), Seppi ricorda che alla “I” adesiva, identificativa dell’Italia sui cofani delle vetture del Bel Paese prima che entrassero in vigore le nuove targhe, fece concorrenza uno sticker largamente utilizzato dalla maggioranza germanofona: nella copia la “I” restava in primo piano, ma andava a comporre l’insegna “ich bin ein südtiroler” (“io sono sudtirolese”), a segnare un’orgogliosa separatezza dai destini di Roma. “Il bello – afferma Seppi – è che quell’adesivo è stato acquistato da moltissimi italiani. Sono stati costretti – chiosa – per andare a funghi o a mirtilli, in montagna, senza avere la preoccupazione di trovarsi quattro gomme lacerate da una lama, “sport” abbondantemente praticato a quelle latitudini”.
Mauro Minniti, oggi ne La Destra di Storace, dal 1994 presente nelle assemblee elettive del territorio, vanta una sequela infinita di iniziative a difesa dell’italianità, anche le più provocatorie e scanzonate: l’omaggio di un biglietto ferroviario di sola andata, destinazione Austria, alla “pasionaria” indipendentista di Sudtiroler Freiheit, Eva Klotz (figlia del terrorista Georg, noto alle cronache per le bombe esplose negli anni Sessanta), è merito suo. Ma è solo l’ultima in ordine di tempo.
Infine Giorgio Holzmann, anche per lui timbro di An sulla fedina politica, ora in Parlamento con Fratelli d’Italia. Non ricorre a immagini particolari, ma rivendica una “crociata toponomastica” memorabile per Bolzano: nel 2002 Holzmann è in prima fila nella promozione del referendum che mira a restituire a Piazza della Pace (così ribattezzata per meno di un anno) il nome storico di Piazza della Vittoria, sede del monumento omonimo di epoca fascista. L’esito della consultazione è un trionfo per la destra: il 62% dei bolzanini rivuole le vecchie insegne. “La spinta delle iniziative missine prima e di An poi – dichiara Holzmann ai nostri taccuini – oggi è soffocata da personaggi che badano solo a preservare la rendita del seggio. Ho rinunciato alla candidatura alle provinciali e ho proposto a chi è sulla breccia da troppo tempo di lasciare spazio al ricambio. Ovviamente non l’hanno fatto. La frammentazione delle liste – chiude – garantisce a chi tornerà in Consiglio, alla guida di gruppi monocomponente, indennità sontuose per altri 5 anni”.
L’Alto Adige è così, bellezza e contraddizioni a iosa: se non ci si fermasse ispirerebbe fiumi di inchiostro come ogni frontiera di questo mondo. Morale: se Bolzano “piange”, l’Italia (da Trento a Trapani) non ride: servirebbe un geranio per restituirci almeno un po’ di colore, ma l’acqua scarseggia nel pozzo della politica.