L’altra faccia della Palermo monumentale è la Palermo delle Rovine, di quei monumenti un tempo altrettanto splendidi, e ora ridotti a gusci vuoti, imponenti ma vuoti. Seppur inseriti nello stesso catalogo UNESCO, la loro visita si svolge in senso contrario. Laddove gli interni mosaicati di Monreale e della Cappella Palatina abbagliano la vista del viaggiatore, la muta bellezza delle Rovine giunge al cuore passando attraverso l’immaginazione.
L’aspetto più impressionante è il contrasto tra la sostanziale integrità delle mura e il loro aspetto assolutamente disadorno, quasi del tutto spogliato delle ricche decorazioni che dovevano impreziosirle un tempo. Si prenda, ad esempio, il Palazzo della Cuba (dall’arabo qubba, “cupola”): originariamente, un vero e proprio padiglione di delizie per i Re normanni, la cui mole arabeggiante sorgeva dalle acque di un lago artificiale, circondato da verdi giardini, che oggi si possono solo sognare.
Ancor più magnifica doveva essere, forse, la Zisa (dall’arabo al-Aziza, “la splendida”), un altro castello edificato fuori dalle mura, come residenza regale. Benché usato in seguito, fino all’età moderna, come dimora nobiliare, non molto resta visibile dell’antico splendore. La Sala della Fontana è irrimediabilmente arida, a dispetto dei mosaici e degli affreschi che ancora la adornano. Gli attuali “giardini”, assolati e polverosi, hanno ben poco a che vedere con quelli di otto secoli fa. Come la Cuba, anche la Zisa è stata inghiottita dalla città, che si estende a dismisura, lungo Corso Calatafimi e Via Colonna Rotta, fino alle pendici di Monreale. [
Albert Speer, architetto tedesco meglio noto per le sue controverse vicende politiche, aveva propugnato un’affascinante teoria artistica, d’ispirazione romantica, legata al valore delle rovine (Ruinenwert). Secondo la Ruinenwerttheorie, gli edifici monumentali avrebbero dovuto essere costruiti già con la prospettiva che tra secoli o millenni avrebbero lasciato Rovine imponenti ed esteticamente pregevoli. Ironia della storia: proprio il felice meticciato greco-arabo-normanno-latino-ebraico-svevo sembrerebbe dare ragione al gerarca nazionalsocialista.
La più affascinante delle Rovine di Palermo è, però, la Chiesa di Santa Maria dello Spasimo, che non a caso si trova nel cuore della Kalsa (dall’arabo Al-Khālisa, “la pura”), il quartiere popolare che porta ancora le ferite dei bombardamenti alleati, in Piazza Magione, spianata sorta dalla demolizione delle macerie belliche. A pochi passi, si trova questa chiesa cinquecentesca, segnata fin dall’inizio da innumerevoli traversie. In mezzo millennio, è stata tutto: chiesa conventuale, teatro, lazzaretto, granaio, magazzini, ospizio, nosocomio, discarica. Oggi è un teatro all’aperto, con le antiche mura che fanno da cornice ad un tetto di cielo. La volta, crollata da secoli, mostra il sole, la luna e le stelle, mille volte più sfolgoranti di qualsiasi decorazione tracciata da mano d’uomo.