
Le parole, dicono tutti, sono importanti. Una volta quando si dava la propria, ci si metteva completamente in discussione. Era importante, dunque, mantenerla. A tutti i costi. Altrimenti si sarebbe finiti ai margini del consorzio umano, bollati di fanfaroneria.
È questo ciò che manca alla politica di oggi. Sia nella capacità di mantenersi alla parola data che a quella di richiederla. Si urla alla coerenza che è categoria post ideologica, alquanto labile e potenzialmente talebana. Non si può restare vincolati, vita natural durante, a quanto s’è detto una sola volta sette anni fa. Solo i cretini non cambiano mai idea. Il problema è quando si cambia idea su una cosa detta settecento volte appena un mese fa.
Guardate il caso di Giuseppe Conte. Quando iniziò tutto ce lo raccontarono come un provincialotto. Un professore di Volturara Appula, devoto – da zotico terrone – a Padre Pio. Vestiva elegante, certo. Ma la sua era l’eleganza del parvenu, alla meglio del manichino senz’anima. Da manichino si fece ben presto a passare a burattino. Stretto tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, incapace e inconcludente; impossibilitato a esprimere una opinione sua, che fosse una. Un mero esecutore, un prestanome.
Poi, è accaduto che quel governo Lega-M5S è crollato sulle aspirazioni e le ambizioni leghiste. Salvini ha fatto saltare il tavolo e il premier, avvocato di Di Maio, lo ha riempito di contumelie in pieno Senato. È da quel momento che è scattato qualcosa. Mentre nel ventre del Palazzo si tubava e si ragionava sulla mossa del cavallo Pd-M5S, nel dibattito militante, Conte è apparso circonfuso di una luce nuova. Gli hanno contato pure le punte della pochette, sottolineando affinità e raffinatezza. Il suo ciuffo da ragazzo di campagna che frequenta le cattive compagnie è divenuto complessità, ragionamento, posatezza e rispetto della Costituzione più bella del mondo. È accaduto che, nel suo nome, persino il Lupo Cattivo Trump è diventato uno di quelli che vanno ascoltati con rispetto e seguiti con ammirazione. Per un attimo, Donaldissimo – da coglione arancione ammazzafuturo – s’è lampato quale iridescente paladino dell’Etica e della morale.
Perché le parole sono importanti e si resta vincolati a esse. Ne riparleremo tra qualche mese: per ora Conte è il nuovo Aldo Moro e il patto Pd-M5S è una riedizione del compromesso storico, interpretata quale stagione d’oro della politica d’antan.
Su Facebook, dove non postano e cancellano solo i capataz, se n’è letta di ogni. Miltanti e simpatizzanti costretti a bere per non affogare nel ridicolo o nell’ira dei dirigenti. Quelli che ogni cosa (prima) twittavano ironici #pandistelle ora chiedono a Conte di metterci il cuore, come Barbara d’Urso. Chissà se quest’ultima non sarà l’ennesima trasformazione (a sinistra) dell’avvocato del popolo.
Il governo più a sinistra della storia dell’Italia repubblicana. Siamo davvero messi male, per non dire nella m**da. Comunque, colpa di Salvini che ha fatto saltare il governo giallo-verde nel momento meno opportuno.
Da “avvocato del popolo” ad “avvocato del palazzo” è un attimo… Werner oggi Giorgetti ha rivelato che è stata una scelta politica, in pratica si è fatto saltare ad agosto perchè era l’ultimo momento buono e forse non ci sarebbe stato il tempo per formare una nuova maggioranza, ma ovviamente pur di rimanere sulla poltrona gli accordi si fanno anche in una notte… Comunque anche se staccava prima era la stessa cosa, anzi sarebbe stato peggio perchè ci sarebbe stato tutto il tempo per formare l’inciucio che vediamo… Diciamo che si poteva provare a continuare questo è vero, ma comunque dopo quel 34% alle europee ormai era chiaro che tutti erano contro uno e che non si poteva andare avanti, poi con i “se” e con i “ma” non possiamo continuare, ormai quel che è fatto è fatto bisogna pensare ad una resistenza attiva e sperare che durino il meno possibile per capitalizzare veramente il dissenso verso questo disgustoso “papocchio”…
@Stefano
Dobbiamo anche sperare che questo governo duri il minor tempo possibile e che si vada così ad elezioni anticipate. La sinistra ha una certa tradizione in fatto di instabilità politica.